Il recente incontro a Beirut tra Thomas Barrack, inviato speciale degli Stati Uniti per Siria e Libano nonché ambasciatore in Turchia, e il presidente libanese Joseph Aoun si inserisce in un contesto complesso di relazioni regionali e sfide interne al Libano. La proposta presentata da Barrack alla leadership libanese lo scorso mese, che includeva richieste quali il disarmo di Hezbollah in cambio del ritiro israeliano dal Libano meridionale, riflette un tentativo di riavviare un processo di stabilizzazione nel Paese e nella regione.
Secondo Barrack, la sfida principale consiste nel fatto che il processo deve partire dall’interno del Libano, con un confronto diretto con Hezbollah, affermando che gli Stati Uniti non intendono imporre al Libano alcuna decisione. Riferendosi alla risposta del governo libanese al documento americano, Barrack ha sottolineato di apprezzare «lo stile equilibrato della risposta», definendola una reale opportunità che spetta ai libanesi decidere come sfruttare.
Il richiamo all’impegno dell’amministrazione Trump a sostenere il Libano verso la prosperità, e la constatazione dell’assenza di un accordo interno o di un calendario preciso, mostrano come il Paese sia ancora in una fase di definizione delle proprie priorità e del proprio futuro politico. L’attenzione di Barrack verso Israele e il suo interesse dichiarato per una pace con il Libano sottolineano le ambizioni di stabilità regionale, ma anche le sfide che tale obiettivo comporta. La definizione del Libano come «chiave della regione» e «perla del Mediterraneo» richiama il ruolo strategico che il Paese potrebbe assumere in caso di stabilità duratura.
Concludendo, Barrack ha sottolineato il ruolo di leadership per il Libano, ricordando il suo passato di «Svizzera del Medio Oriente». Ha infine avvertito che nessuno interverrà nel Paese se vi dovessero essere conflitti interni, sottolineando che il momento favorevole è ora, con un presidente americano al fianco del Libano, dotato di coraggio ma non di infinita pazienza.