Giulio Tremonti, presidente della commissione Esteri della Camera e più volte ministro dell’Economia, in una intervista a La Stampa sostiene che l’Europa abbia già ceduto su punti cruciali agli Stati Uniti, in particolare sui servizi digitali e sulla finanza. «Il cosiddetto ‘Liberation day’ del 2 aprile ha inaugurato una nuova fase politica in America – sottolinea il deputato di Fratelli d’Italia –. L’idea di fondo è semplice: la globalizzazione ha causato danni enormi alla manifattura americana. I dazi sono una forma di compensazione, ma anche uno strumento per riportare la manifattura negli Stati Uniti». Secondo Tremonti, si tratta di «un’operazione di ingegneria inversa della globalizzazione: si tenta di tornare a un mondo più bilanciato, in cui la produzione industriale riacquista centralità. Però si dimentica un fatto essenziale: non è solo la manifattura ad aver subito uno shock. Anche la finanza e i servizi – soprattutto quelli tecnologici – sono stati coinvolti. Eppure, l’attenzione si concentra solo sull’acciaio e le automobili, ignorando del tutto settori fondamentali come la Silicon valley o il commercio digitale». Quindi l’operazione americana esclude deliberatamente i servizi e la finanza: «Esattamente – conferma l’esponente di Fd’I –. È un’operazione asimmetrica. Già nel 1994 si diceva che i capitali si stavano spostando verso l’Asia alla ricerca di manodopera a basso costo. Era l’inizio della globalizzazione, l’epoca di Clinton. Era il cosiddetto ‘fantasma della povertà’. Quel ‘fantasma’ si è risvegliato, ha votato repubblicano ed è arrivato alla Casa Bianca. Oggi ispira le politiche di reindustrializzazione americana. Ma questa narrazione ignora la simmetria del problema: l’Occidente ha esportato povertà nella fascia bassa della popolazione e ha concentrato la ricchezza in alto. La politica americana risponde solo in parte, e l’Europa appare del tutto disallineata».
Quanto al collocamento dell’Europa in questo nuovo equilibrio: «Per una volta, va detto che il riconoscimento dell’Unione europea come soggetto unitario nei dazi del 2 aprile è stato positivo. Tra i 70 Paesi elencati dagli Stati Uniti, uno è l’Ue, non 27. Non ci sono gli altri organismi collettivi – evidenzia Tremonti –. Ma lo schema classico – ripartire la tassazione tra il luogo della produzione e quello della sede societaria – è saltato con la Global minimum tax, che ha spostato il paradigma. E il G7 ha confermato questa deriva accettando che le multinazionali statunitensi restino fuori dall’accordo. In pratica, ha legittimato l’abbandono dell’ambizione europea di tassare i colossi americani». Un segnale di debolezza: «Direi proprio di sì. Il G7, a parte il Giappone, è ormai solo l’Europa. Peggio ancora: nel G20 a Roma del 2021, la famosa foto alla Fontana di Trevi mostra solo 18 leader, perché mancavano Russia e Cina. Era un’illustrazione perfetta della crisi delle istituzioni multilaterali. Il G20 non esiste più – osserva il parlamentare di Fratelli d’Italia –. E sul G7 ci sono più dubbi che certezze». Nel frattempo, la Cina «ha già concluso la sua trattativa con gli Usa, l’Europa è arrivata tardi e ha negoziato solo sulla manifattura, dimenticando finanza e digitale. Questo rischia di essere un errore strategico gravissimo».
Gli Stati Uniti, intanto, minacciano ritorsioni se l’Europa reintrodurrà la Digital tax: «L’Europa era partita con una visione organica: mercato unico, tassazione armonizzata, competitività. Ma ha finito per accettare lo status quo imposto dagli altri. E attenzione: il meccanismo delle ritorsioni americane è già pronto. In vari tavoli, Washington ha detto chiaramente che, se si reintroduce la tassa sui servizi digitali, ci sarà una contromisura immediata. A quel punto non si tratta più di negoziato, ma di escalation. E noi europei pare che non siamo così pronti», conclude Tremonti.