Il cessate il fuoco, a Teheran, non è percepito come la fine di un’operazione militare ma come l’inizio di una nuova, segreta, pericolosa e più profonda campagna. Secondo alti funzionari della sicurezza israeliana sentiti da Epoch Israele, all’interno dell’apparato di sicurezza iraniano e negli organi di propaganda del regime starebbe diventando sempre più consolidata la valutazione che Israele stia agendo per indebolire il regime dall’interno, non più attraverso un fronte militare aperto, ma attraverso una combinazione di infiltrazioni di intelligence, omicidi mirati, oppressione economica e l’innesco di “shock interni”.
Il generale Ali Reza Tankesiri, alto ufficiale delle Guardie Rivoluzionarie, avrebbe infatti lanciato l’avvertimento in un discorso tenuto a Teheran il 25 giugno: «Chi pensa che la guerra sia finita si sbaglia. Il nemico sta cercando di aprire un nuovo fronte in casa nostra […] Israele e l’America stanno cercando di indebolire il popolo iraniano attraverso reti di spionaggio, guerra psicologica e sanzioni».
Durante le operazioni militari, Israele ha ottenuto risultati impressionanti in territorio iraniano: la distruzione dei sistemi di difesa aerea, gli attacchi americani contro gli impianti nucleari di Natanz, Fordow e Isfahan, e l’eliminazione di figure di spicco del mondo scientifico e della sicurezza. Ma secondo un’analisi interna iraniana, il principale risultato ottenuto da Israele non è stato materiale ma cognitivo: lo Stato che, per Teheran, andrebbe «cancellato dalla carta geografica», ha dimostrato la profondità della sua penetrazione in Iran e ha infranto il senso di controllo del regime. Il consigliere per la sicurezza nazionale iraniano, Ali Shamkhani, intervistato dal quotidiano Kayhan il 26 giugno, ha ammesso tra le righe la gravità della crisi dicendo: «Il nostro sistema è stato esposto al nemico in modi che ci impongono di riesaminare le strutture di difesa, l’intelligence e la coesione civile».
Secondo le fonti di intelligence occidentali sentite da Epoch, Israele avrebbe optato per un approccio in più fasi: innanzitutto, l’eliminazione dell’influenza regionale dell’Iran attraverso attacchi alle sue figure più importanti; poi, l’isolamento diplomatico e la distruzione delle infrastrutture militari e civili associate al regime; e ora, il passaggio a operazioni segrete contro il regime degli ayatollah.
Nel giro di un anno, inoltre, Hezbollah in Libano ha subito un duro colpo, Hamas nella Striscia di Gaza ha subito gravi danni e perso forza, le milizie sciite in Iraq sono state fortemente ridimensionate e il regime di Bashar al-Assad in Siria è crollato. Gli Houthi in Yemen ora sono diventati il prossimo obiettivo di Gerusalemme. Il risultato: l’Iran è ormai in gran parte svuotato della sua ventennale influenza in Medio Oriente. Ma l’obiettivo finale di Israele sono gli ayatollah: il commentatore politico iraniano Hassan Hanizadeh ha dichiarato più volte negli ultimi giorni: «il nemico [Israele, ndr] ha capito che la nostra influenza regionale è la prima linea di difesa e ora, dopo averla infranta, il suo obiettivo è Teheran stessa».
Alti funzionari israeliani affermano che la classe politica israeliana sia consapevole che, finché il regime degli ayatollah controllerà l’Iran, la minaccia sarà sempre presente. Da qui l’idea che Israele non si accontenti più della “deterrenza” e stia lavorando per creare un processo di erosione profondo e duraturo, con l’obiettivo di minare la stabilità del regime e creare crepe che consentano un futuro cambiamento strutturale. E gli strumenti chiave di questo processo sarebbero: continuare con gli “omicidi eccellenti”, con lo spionaggio e con la pressione economica, e approfittare della crescente dissonanza tra l’opinione pubblica e il regime in Iran.
L’opinione pubblica iraniana è ora sottoposta a crescente tensione. La crisi economica si sta aggravando, la sicurezza personale è compromessa e la fiducia nelle istituzioni è in crisi. E invece di dare una risposta conciliatoria alla piazza, il regime di Khamenei sta rafforzando la repressione fino alla paranoia, con ondate di arresti e indagini interne sulle forze di sicurezza, e bollando qualsiasi critica come un “tradimento” frutto di una “cospirazione sionista-americana”. Il Centro per gli Studi Strategici di Teheran ha avvertito in un documento interno trapelato a Radio Farda che «il dibattito interno sui social media è slegato da quello ufficiale. Qualsiasi tentativo di minimizzare questa debolezza non fa altro che esacerbare il clima di sfiducia nell’opinione pubblica».
La Guida Suprema Ali Khamenei ha appunto cercato di trasmettere forza nella sua (poco realistica) dichiarazione di vittoria del 27 giugno, affermando: «L’Iran ha costretto il nemico a fuggire dal campo di battaglia e a leccarsi le ferite», ma ormai persino all’interno dell’apparato propagandistico del regime iraniano, si levano voci di dubbio.
Mentre la crescente pressione crea una profonda incertezza interna, il regime iraniano sta lavorando con tutte le sue forze per contrastare l’instabilità. In questo contesto, si stanno adottando misure di ampia portata per rafforzare la sorveglianza, aumentare la censura e il controllo su Internet e sui social network, parallelamente a intense campagne a favore del regime volte a preservare la legittimità e a prevenire lo scoppio di proteste su larga scala.
Il regime sta rafforzando la repressione nelle strade, mette il bavaglio al dissenso, e gli oppositori politici vengono arrestati e interrogati in massa. Il regime degli ayatollah sta tentando, in tutto questo, di presentarsi come una forza stabile che protegge il Paese dal “sionismo” e dalla “sovversione straniera”, facendo leva sul patriottismo e canalizzando le tensioni sociali verso il nemico esterno. Ma, secondo gli ambienti della sicurezza israeliani, tutti questi sforzi da parte del regime iraniano vanno a scontrarsi con una crisi economica e sociale che mette a serio rischio la coesione interna. E questo, insieme all’azione di Israele dall’esterno, potrebbe presto causare la fine del regime degli ayatollah.