Ieri Donald Trump ha dichiarato che nei negoziati della prossima settimana cercherà di ottenere dall’Iran un impegno a rinunciare alle sue ambizioni nucleari.
Parlando da L’Aia, dove ha partecipato al vertice Nato, Trump ha detto di non credere che l’Iran riprenderà lo sviluppo di armi nucleari. «La prossima settimana parleremo con l’Iran. Potremmo firmare un accordo» dice Trump, che però poi spiazza tutti aggiungendo: «Per me non è così necessario», perché ragiona il presidente americano, ormai l’Iran è a terra e l’unica cosa che vuole fare il regime di Teheran è raccogliere i cocci mentre si lecca le ferite.
D’altra parte, chiarito il “giallo” della reale entità dei danni subiti dai tre siti nucleari iraniani – creato ad arte da Testate specializzate in «fake news», dice l’Amministrazione Trump – ormai è chiaro che se l’Iran volesse arrivare a produrre in casa un’arma nucleare dovrebbe ripartire praticamente da zero, visto che l’uranio arricchito sparito comunque era stato arricchito al 60 e non al 90 per cento.
Il presidente americano si è poi detto fiducioso che Teheran opterà per una via diplomatica verso la riconciliazione, senza però fornire dettagli sui negoziati della prossima settimana. E se mai l’Iran tentasse di ricostruire il suo programma nucleare, «non lo permetteremo» ha puntualizzato Trump, anche a costo di ricorrere di nuovo alla forza. Ma Trump si dice fiducioso che non si dovrà più arrivare a tanto.
Rispetto alla capacità di riarmo dell’Iran, Rafael Grossi dell’Aiea ha respinto quello che ha definito l’«approccio-clessidra», ovvero valutare i danni al programma nucleare iraniano in termini di mesi necessari per un’eventuale ricostruzione: «In ogni caso, la conoscenza tecnologica e la capacità industriale sono presenti. Nessuno può negarlo. Per cui – dice Grossi – dobbiamo collaborare con loro». Grossi vorrebbe il ritorno degli ispettori internazionali nei siti nucleari iraniani, l’unico modo, a suo avviso, per accertare con precisione il loro stato, ma con l’uscita dell’Iran dall’accordo con l’Aiea, questo sembra più difficile.
Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, un moderato eletto l’anno scorso in un contesto dominato dagli oltranzisti, ha suggerito che il conflitto potrebbe aprire la strada a riforme: «Questa guerra e l’empatia che ha generato tra il popolo e i funzionari rappresentano un’opportunità per cambiare l’approccio alla gestione e il comportamento dei funzionari, così da favorire l’unità», ha dichiarato in un comunicato diffuso dagli organi del regime.
Regime che però ha reagito rapidamente per riaffermare il proprio potere di controllo: la magistratura iraniana ha annunciato mercoledì l’esecuzione di tre uomini condannati per aver collaborato con il Mossad, il servizio segreto israeliano. Durante il conflitto appena terminato, l’Iran ha arrestato 700 persone accusate di legami con Israele, secondo l’agenzia Nournews.
Durante la guerra, sia il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sia Trump avevano pubblicamente ipotizzato che il conflitto potesse concludersi con il rovesciamento della dittatura teocratica islamica salita al potere con la “rivoluzione” del 1979. Ma Trump ha chiarito di non volere un «cambio di regime» in Iran, che, a suo avviso, porterebbe solo caos in un momento in cui è invece vitale arrivare a una stabilizzazione.