La valutazione degli apparati di sicurezza israeliani è che la guerra tra Israele e Iran stia cambiando in modo permanente la realtà del Medio Oriente: l’Iran non sarà più in grado di tornare alla situazione in cui si trovava prima del 13 giugno. Secondo questa visione, Israele è riuscito a stroncare il regime degli ayatollah, togliendo da sotto i piedi il tappeto al regime, che progettava di stare al potere definitivamente grazie al programma nucleare. Il capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale israeliano, Tzachi Hanegbi, ha dichiarato in un rapporto sulla sicurezza rilasciato durante una discussione riservata alla Commissione Affari Esteri e Sicurezza della Knesset che «i risultati ottenuti nella guerra in Iran sono stati grandiosi» anche se «c’è ancora molto lavoro da fare in Iran».
Alti funzionari di Gerusalemme stimano che la distruzione del progetto nucleare iraniano rafforzerà la capacità di deterrenza di Israele – gravemente danneggiata dal colossale smacco subito dal Mossad il 7 ottobre 2023 – e favorirà il processo di normalizzazione con gli altri Paesi arabi e musulmani. Una fonte politica israeliana di alto livello, citata dalla nostra consociata israeliana, fa capire che a Gerusalemme vi sia la certezza che, alla fine della guerra tra Israele e Iran, verrà creato un nuovo ordine in Medio Oriente. Ma le intenzioni dell’Iran, il cui status di potenza regionale è ormai compromesso, sono ancora poco chiare.
Anche i Paesi sunniti che non facevano parte dell’Asse della Resistenza del fondamentalismo islamico (come Qatar e Egitto, che ha recentemente iniziato ad avvicinarsi all’Iran) dovranno fare i conti con Israele, che non sembra affatto intenzionato a dimenticare il ruolo del Qatar nel massacro del 7 ottobre, né il suo sostegno a Hamas né i suoi sforzi per delegittimare Israele nel mondo sfruttando la sua immensa ricchezza.
Secondo alti funzionari degli apparati israeliani, Israele è riuscito a isolare l’Iran sulla scena internazionale. Ma la guerra non è ancora finita, e non si può escludere la possibilità che il regime iraniano crolli definitivamente: c’è una buona probabilità di disintegrazione interna in Iran, e si prevede che le voci delle minoranze etniche e religiose si faranno sempre più forti: l’opposizione iraniana ormai annusa nell’aria la debolezza del regime degli ayatollah. L’Iran ha poche carte in mano e le sue risorse regionali in Iraq, Yemen e Libano si sono indebolite. E Cina e Russia, al di là dei proclami, pare stiano mantenendo una posizione defilata, scegliendo di evitare un coinvolgimento diretto nel conflitto. E a Gerusalemme la valutazione è che entrambi troveranno il modo di andare avanti anche dopo un cambio di regime a Teheran.
Su piano della forza pura, la guerra tra Israele e Iran ha oggettivamente messo in luce il profondo divario militare, tecnologico e politico. L’aeronautica israeliana ha dimostrato di essere il braccio più forte delle forze armate israeliani e di poter colpire in modo letale qualsiasi punto del Medio Oriente. Il Mossad, il servizio segreto israeliano, ha a sua volta dimostrato di avere pienamente sotto controllo la situazione iraniana e di poter “fare quello che vuole” in Iran; un avversario a cui Israele riconosce di aver costruito un formidabile sistema di missili balistici, ma che è servito a poco perché Teheran ha fallito nella sua strategia contro Gerusalemme, sottovalutandone la potenza militare. L’Iran ormai è privo di difesa contraerea e il regime appare alla mercé degli agenti del Mossad. Queste sono gravi debolezze, che conferiscono a Israele la superiorità sia sul piano strettamente militare che mentale.
Ma a Teheran non sono rimasti spiazzati solo dalla macchina da guerra israeliana (che è notoriamente di eccellente livello): probabilmente il regime degli ayatollah sperava nell’appoggio della comunità internazionale: d’altra parte, l’ondata di antisemitismo che da qualche anno si vede anche in Europa, poteva autorizzare Teheran a credere che Gerusalemme sarebbe stata lasciata sola; e invece a Teheran hanno perso la scommessa, e la dichiarazione del G7 della scorsa settimana lo ha dimostrato sancendo il diritto di Israele «all’autodifesa».
Allo stato attuale, l’Iran rifiuta categoricamente di accettare il diktat americano di resa incondizionata: verosimilmente, il regime spera di rimettersi in sella e sta valutando di intraprendere la strada della guerra di logoramento (probabilmente col sostegno di Russia e Cina); insomma Alì Khamenei, ormai all’ultima spiaggia, potrebbe optare per l’extrema ratio, e tentare di ribaltare una situazione ormai disperata giocandosi il tutto per tutto. Ma una guerra di logoramento è un qualcosa di semplicemente infernale, gli esempi nella Storia non mancano, a partire proprio dal conflitto (finito in “parità”) che Iran e Iraq hanno combattuto dal 1980 al 1988, senza concludere nulla se non arrivare allo sfinimento reciproco.
Fonti israeliane di alto livello ritengono, piuttosto, che di fronte a una simile prospettiva Israele non avrebbe altra scelta che provare a dare l’ultima spallata per abbattere il regime degli ayatollah. Ma la Storia insegna che anche questo sarebbe un giocare d’azzardo: quando si abbatte un regime, specie in certe aree del Pianeta, non è sempre detto che quello che viene dopo sia meglio di quello che c’era prima.