Nella comunità di Little Persia, un quartiere di Los Angeles che ospita una delle comunità iraniane più numerose al mondo, con circa mezzo milione di residenti di origine iraniana, il dissenso nei confronti del governo islamico di Teheran è diffuso e tangibile.
All’interno di quella che è considerata la più vasta comunità persiana al di fuori dell’Iran, situata nella zona occidentale di Los Angeles, gli ebrei iraniani intervistati da Reuters hanno espresso un appoggio convinto alle operazioni aeree statunitensi e israeliane, e ne auspicano anzi un’intensificazione. Più cauta, invece, la posizione di diversi musulmani iraniani residenti nell’area, conosciuta anche come Little Tehran o Tehrangeles, che esprimono timori rispetto a un possibile coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti in un nuovo conflitto in Medio Oriente.
La maggior parte delle ventiquattro persone intervistate ha scelto di non rivelare il proprio nome completo né di farsi fotografare, per timore di ritorsioni da parte del regime iraniano guidato dalla guida suprema, ayatollah Ali Khamenei. Tutti gli intervistati hanno ancora parenti in Iran. Un docente universitario musulmano di 38 anni, identificato solo come Reza, ha raccontato di aver ricevuto lo scorso anno gravi minacce da un funzionario iraniano, tramite una telefonata dal cellulare della sorella, che gli intimava di cessare la pubblicazione di contenuti critici verso la Repubblica Islamica sui propri profili social, con l’avvertimento che eventuali conseguenze avrebbero potuto colpire la sorella. «È un tema molto delicato. Da un lato, mi rassicura sapere che Israele e Stati Uniti stiano colpendo il programma nucleare iraniano, che considero pericoloso. Non nutro alcuna fiducia nel regime e nella sua gestione della tecnologia nucleare – ha dichiarato Reza – ma dall’altro sono profondamente preoccupato per la mia famiglia. La popolazione sta soffrendo, e l’idea di un nuovo coinvolgimento militare statunitense nella regione è fonte di grande inquietudine».
Domenica, l’attenzione internazionale era rivolta alla risposta di Teheran, dopo l’azione militare americana. L’atmosfera davanti a un caffè Starbucks, dove un gruppo di sette uomini, per lo più ebrei iraniani, discuteva degli attacchi aerei statunitensi, in quel contesto era sorprendentemente festosa: «Questo regime non dovrebbe più esistere. Tortura e imprigiona il proprio popolo. I mullah sono una fonte continua di destabilizzazione in Medio Oriente e nel resto del mondo» ha detto un intervistato. Un altro uomo, emigrato dall’Iran nel 1983 e con familiari sia in Iran che in Israele, ha raccontato che il gruppo riunito davanti allo Starbucks ha accolto con favore gli attacchi israeliani iniziati all’inizio del mese: «Israele sta facendo un lavoro eccellente. Noi vogliamo che quei mullah siano cacciati».
Preoccupazione è stata invece espressa da un ingegnere meccanico di 48 anni trasferitosi a Los Angeles nel 2007, i cui genitori e due fratelli risiedono ancora in Iran: «Vivono nel nord del Paese, e Israele ha bombardato per la prima volta quella zona» ha detto, puntualizzando poi: «Naturalmente spero che l’azione militare contribuisca a rovesciare il regime».
Anche tra i giovani iraniani-americani è diffuso un sentimento di ostilità nei confronti della Repubblica Islamica, sebbene prevalga una visione più critica nei confronti dei bombardamenti condotti da Israele e Stati Uniti. Una 33enne nata negli Stati Uniti da genitori fuggiti durante la rivoluzione islamica del 1979, ha visitato l’Iran una decina di volte per far visita ai parenti. In una di queste occasioni, ha raccontato di aver avuto un alterco con la “polizia morale” per via del velo che le era scivolato. La giovane ha anche ricordato la morte di Mahsa Amini, giovane curdo-iraniana di 22 anni, deceduta in un ospedale di Teheran nel 2022 dopo essere stata arrestata e brutalmente aggredita per non aver indossato correttamente l’hijab secondo i codici imposti dalla dittatura islamica. La donna dice di aver accolto con favore l’attacco israeliano che, all’inizio del mese, ha ucciso un alto comandante delle Guardie Rivoluzionarie: «È stato un segnale positivo. Speriamo che cadano tutti […] Io voglio assolutamente vedere la fine del regime iraniano».