Il 20 giugno, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha messo in discussione le valutazioni del suo direttore dell’intelligence nazionale, secondo cui l’Iran non avrebbe ancora deciso di sviluppare un’arma nucleare. Le dichiarazioni sono state rese ai cronisti presso l’aeroporto municipale di Morristown, in New Jersey, accanto all’Air Force One.
Rispondendo a una domanda sulla posizione della comunità d’intelligence statunitense, che non aveva rilevato prove di un programma attivo per la costruzione di testate nucleari da parte dell’Iran prima degli attacchi aerei israeliani contro siti militari e nucleari della settimana precedente, Trump ha replicato con fermezza: «Se è così, la mia intelligence ha torto. Chi ha fatto questa affermazione?». Quando i giornalisti gli hanno riferito che a marzo era stata Tulsi Gabbard, direttore dell’intelligence nazionale, a esprimere tale giudizio in un’audizione parlamentare, il presidente ha tagliato corto: «Ha sbagliato».
In risposta, la Gabbard è intervenuta sui social pubblicando un estratto della sua testimonianza di marzo e accusando i giornalisti di aver deliberatamente distorto il suo messaggio: «Certi organi di stampa, con malafede, stanno travisando le mie parole, diffondendo notizie false per seminare discordia. Le informazioni in nostro possesso indicano che l’Iran potrebbe dotarsi di un’arma nucleare in poche settimane o mesi, qualora decidesse di completare il processo. Il presidente Trump ha detto chiaramente che questo è inaccettabile, e io condivido la sua posizione».
Nella sua audizione di marzo, Tulsi Gabbard aveva chiarito che, secondo i dati dell’intelligence, l’Iran non stava attualmente lavorando a un’arma nucleare. Tuttavia, aveva segnalato elementi preoccupanti che richiedevano una vigilanza costante: una crescente determinazione di alcuni leader iraniani a perseguire il nucleare, e delle scorte di uranio arricchito a livelli mai raggiunti da un Paese che dovrebbe essere privo di un programma militare nucleare.
Con i giornalisti Trump ha ribadito che, considerando la quantità di uranio arricchito accumulato dall’Iran, il regime potrebbe essere in grado di produrre una bomba nucleare «in pochi mesi». Trump ha anche sottolineato che le informazioni attuali dell’intelligence militare sono più precise rispetto a quelle che, nel 2003, portarono l’allora presidente George W. Bush a giustificare l’invasione dell’Iraq, una decisione che Trump ha criticato. Interrogato su cosa distingua il contesto odierno da quello di ventidue anni fa, ha risposto: «In Iraq non c’erano armi di distruzione di massa, e io l’ho sempre sostenuto. All’epoca si parlava di nucleare, ma nulla di paragonabile alla situazione attuale. E i dati sul materiale accumulato dall’Iran sembrano darmi ragione».
A inizio maggio, l’agenzia delle Nazioni Unite per il controllo nucleare aveva riferito che l’Iran disponeva di oltre 400 chilogrammi di uranio arricchito al 60%. Per un’arma nucleare è necessario uranio al 90% di arricchimento. Secondo l’agenzia, l’Iran potrebbe, se lo volesse, arricchire le proprie riserve fino al livello richiesto per una bomba in pochi giorni, anche se la progettazione e il collaudo di una testata richiederebbero tempi più lunghi.