L’Iran è in guerra con Israele dal 13 giugno, ma già da tempo Teheran e altre città iraniane devono affrontare frequenti blackout, nonostante il Paese disponga di alcune delle più vaste riserve di petrolio e gas al mondo. Questo succede perché l’Iran è tra i principali Paesi per il mining di bitcoin, un’attività che richiede un consumo enorme di energia elettrica. «È una strategia astuta per il regime iraniano: non potendo vendere il petrolio, lo convertono in elettricità, e questa in bitcoin», dice Matthew Tasooji, docente della California State University San Marcos, «considerando che i proventi del mining di bitcoin finanziano direttamente il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, vi è una logica strategica che potrebbe spingere Israele a colpire questi siti». Secondo il professor Tasooji, i «nodi economici» come questi sono spesso considerati “obiettivi militari legittimi”.
Il bitcoin, spiegano gli specialisti, si produce attraverso computer che competono per risolvere complessi problemi crittografici, come enigmi matematici. Questo processo richiede server farm che consumano enormi quantità di energia per eseguire calcoli simultanei. E in cambio della risoluzione di questi problemi, i miner ottengono i bitcoin. Questo è, fra l’altro, il “segreto” della logica di creazione di questo misterioso mezzo di pagamento: colossali super-computer che consumano fiumi di elettricità e che, curiosamente, invece di costare, rendono.
Il professor Tasooji sottolinea infatti come tentare di creare bitcoin con un normale computer da casa offrirebbe probabilità di successo «miliardi di volte inferiori» a quelle di vincere alla lotteria: «È praticamente impossibile senza una grande quantità di computer dotati di chip specifici». I computer con circuiti integrati specifici per applicazioni (Asic) sono utilizzati per risolvere il puzzle “proof-of-work” necessario a generare un bitcoin.
Secondo le stime, l’Iran possiede circa 180 mila miner Asic per il bitcoin, gestiti in parte da cittadini cinesi impiegati nelle mining farm, ma soffrendo di una grave carenza di valuta estera non riesce a vendere liberamente le sue ingenti riserve di petrolio sui mercati mondiali. Un grafico della Federal Reserve Bank di St. Louis, basato su dati del Fondo monetario internazionale, mostra che le riserve di valuta estera iraniane sono crollate da 122 miliardi di dollari nel 2018 a 13,6 miliardi nel 2020, per poi risalire leggermente a 33 miliardi nel 2025. Il regime ha attinto pesantemente a queste riserve, ormai quasi esaurite, rendendo il mining di bitcoin una necessità.
Nel settembre 2022, Catherine Perez-Shakdam, direttrice del Forum per le relazioni estere, ha fornito prove scritte al Parlamento britannico, affermando che «circa il 4,5% del mining globale di bitcoin avviene in Iran» e recentemente ha dichiarato che nel 2025 questa percentuale è probabilmente molto più alta; inoltre l’esperta ritiene che l’Irgc gestisca un’economia parallela, di cui il mining di bitcoin è una componente chiave: «Non potendo finanziare Hamas, Hezbollah e altre organizzazioni, il regime si affida al bitcoin per farlo e per rimpinguare le proprie casse […] una mossa intelligente, ma illegale e dispendiosa per un Paese come l’Iran, dove i blackout giornalieri, della durata di due-otto ore, sono diventati la norma».
I mezzi di propaganda del regime iraniano, come l’Irna, raramente coprono la crisi energetica, ma a febbraio 2025 l’Irna stessa ha pubblicato un breve articolo in cui il viceministro dell’industria, delle miniere e del commercio, Hossein Farhidzadeh, ammette che i blackout costano al settore industriale iraniano 108 milioni di dollari al giorno. Durante una visita nella provincia di Kermanshah, nel nord-ovest dell’Iran, Farhidzadeh ha dichiarato: «Mi scuso per non essere riusciti a garantire le condizioni di base necessarie per i produttori».
Secondo gli esperti, le criptovalute sono utilizzate principalmente da Paesi che cercano di eludere sanzioni, come Iran e Corea del Nord, benché l’idea originaria delle criptovalute non fosse di per sé negativa, ossia consentire transazioni decentralizzate e indipendenti da banche o governi. Ma purtroppo la criptovaluta, spiegano gli analisti, è diventata il mezzo privilegiato da criminali (organizzati e non) per sfuggire al controllo del sistema finanziario internazionale, e si ritiene che il regime iraniano converta l’elettricità in bitcoin utilizzandolo per regolare i pagamenti con Paesi come Russia, Cina e Corea del Nord.
Ma il mining di un singolo bitcoin richiede quantità enormi di energia. Un rapporto dell’aprile 2025 della Judge Business School dell’Università di Cambridge ha stimato che il consumo annuo di elettricità per il mining di bitcoin ammonti a 138 terawattora, circa lo 0,5% del consumo mondiale, sulla base di dati che rappresentano il 48% dell’attività di mining mondiale.
E l’Iran non è l’unico Paese coinvolto: secondo l’Agenzia per l’informazione sull’energia degli Stati Uniti, a febbraio 2024 il mining di criptovalute rappresentava tra lo 0,6% e il 2,3% del consumo elettrico totale negli Stati Uniti; quindi il mining di bitcoin è un’attività redditizia ma costosa a causa del prezzo attualmente alto dell’elettricità. Dopo diversi blackout in Iran all’inizio dell’anno, l’Irna ha riportato le dichiarazioni del ministro dell’energia iraniano, Abbas Aliabadi, che ha dato la colpa al mining di bitcoin non autorizzato, offrendo ricompense ai cittadini che segnalassero attività illecite in tal senso. Il mese scorso, IranWire ha riferito che il ministero dell’Istruzione iraniano ha disposto l’apertura delle scuole alle 6 del mattino e la chiusura alle 13 per risparmiare elettricità. L’uso intensivo di aria condizionata durante l’estate torrida iraniana aumenta il consumo energetico, e la chiusura anticipata delle scuole riduce la domanda. Catherine Perez-Shakdam definisce la crisi energetica iraniana assurda: «È inconcepibile che un Paese con le risorse energetiche dell’Iran non riesca a generare abbastanza elettricità. E la cosa peggiore è che esportano energia in Iraq. E questo è proprio folle!».
E sebbene il mining di bitcoin sia legale in Iran, il regime gestisce un rigido sistema di licenze. Nel 2019, diverse farm di mining prive di autorizzazione sono state chiuse per aver rilasciato licenze a società che ottengono elettricità a tariffe agevolate, ma sono obbligate a vendere le criptovalute alla banca centrale.
Il professor Tasooji ha rivelato che il leader iraniano Ali Khamenei ha autorizzato il mining di bitcoin nel 2021, e crede che molte farm siano gestite dall’Irgc. «È un’attività lucrativa se l’elettricità è economica o gratuita, e in Iran le Guardie rivoluzionarie non pagano nulla per l’energia», ed essendo l’economia iraniana in condizioni disastrose, il rial, la moneta locale, praticamente è privo di valore e ha un tasso di cambio sul mercato nero molto diverso da quello ufficiale.
I problemi economici ed energetici dell’Iran potrebbero essere facilmente risolti se il regime abbandonasse quella che ha definito la «folle corsa» verso le armi nucleari, osservano gli esperti. Ma il regime è evidentemente irremovibile su questo punto.