Si mette sempre peggio per Xi Jinping

di Redazione ETI/Michael Zhuang
18 Giugno 2025 12:13 Aggiornato: 18 Giugno 2025 12:13

Con l’avvicinarsi del Quarto Plenum del Partito Comunista Cinese, previsto per la fine dell’anno, si moltiplicano i segnali di una profonda crisi politica al vertice del regime. Il segretario generale del Pcc Xi Jinping appare sempre più isolato, e si registrano sue assenze insolite, la rimozione di alleati storici e, in generale, un calo del potere che è in grado di esercitare.

Il capo del Pcc è infatti rimasto stranamente lontano dalla scena pubblica per due settimane, tra il 21 maggio e il 3 giugno. Pochi giorni prima, durante un sopralluogo nella provincia di Henan risultava assente Cai Qi, uno dei membri principali del Politburo, fatto che si discosta dalle consuete procedure del Partito. Anche la composizione dell’entourage presidenziale ha subito variazioni significative. Li Ganjie, capo del Dipartimento del Fronte Unito del Pcc e fedelissimo di Xi, non figura più tra i collaboratori più vicini dalla metà del 2024. Ad aprile, Li è stato trasferito dalla guida del potente Dipartimento Organizzativo, che sovrintende alle nomine interne del Partito, a un incarico considerato di minore peso. Il suo successore, Shi Taifeng, è ritenuto vicino agli ex segretario generale del Pcc Hu Jintao e Li Keqiang, dettaglio che alimenta l’ipotesi di un ridimensionamento dell’influenza diretta di Xi nelle nomine strategiche.

Ulteriori segnali sono emersi il 24 maggio, in occasione dell’inaugurazione del Museo rivoluzionario di Guanzhong, nella provincia natale del presidente. La cerimonia, dedicata alla figura del padre di Xi Jinping, Xi Zhongxun, si è svolta in tono dimesso, senza la partecipazione di alti funzionari del Partito né di membri della famiglia Xi. Altro indizio, a copertura mediatica da parte della propaganda ufficiale è risultata minima, a conferma di un possibile ridimensionamento anche della dimensione simbolica del lignaggio familiare di Xi.

Il 20 marzo, durante una visita a organi civili e militari locali, nessun membro della Commissione Militare Centrale ha accompagnato Xi. Un’assenza che, rispetto alle precedenti visite ufficiali, appare significativa.

EPURAZIONI NELL’APPARATO MILITARE

Il 2 giugno è stata annunciata la morte improvvisa del generale Xu Qiliang, all’età di 75 anni. Sebbene le fonti ufficiali abbiano parlato di “malattia”, il giornalista indipendente Zhao Lanjian ha attribuito il decesso a forti pressioni interne, legate alle epurazioni in corso tra i vertici militari. Xu, figura centrale nelle riforme militari promosse da Xi, era considerato uno dei suoi alleati più fidati.

Un altro esponente di spicco dell’apparato militare, il generale He Weidong, non è comparso in diverse occasioni ufficiali insieme ad alcuni vertici del Politburo e al funerale di Xu dell’8 giugno. Le sue attività sono state rimosse dal sito del Ministero della Difesa. Secondo Zhao, sia He sia l’ammiraglio Miao Hua sono attualmente sotto inchiesta interna per «gravi violazioni disciplinari e legali». Le informazioni relative a Miao sono state eliminate dal sito ufficiale della Commissione Militare Centrale, suggerendo che sia già stato rimosso dal suo incarico.

Già da tempo, diversi alti ufficiali legati a Miao risultano arrestati, ma come di consueto le autorità parlano solo genericamente di «corruzione», senza fornire ulteriori dettagli. Considerando che sia He sia Miao sono stati promossi direttamente da Xi, la loro estromissione rappresenta un duro colpo alla sua capacità di controllo sull’esercito.

CRESCE IL DISSENSO INTERNO E INTERNAZIONALE

Il 9 giugno, oltre 500 cittadini cinesi hanno firmato una lettera aperta indirizzata agli ex leader Hu Jintao e Wang Yang, nella quale vengono mosse pesanti accuse contro Xi, in particolare per presunti casi di corruzione nel sistema giudiziario della sua provincia natale. Il testo definisce fraudolente le campagne anticorruzione e per lo Stato di diritto promosse dal leader, denunciando un aumento delle condanne arbitrarie e della repressione contro i cittadini. I firmatari chiedono riforme democratiche e l’abolizione di reati vaghi come quello di «provocazione di disordini», spesso utilizzato per colpire dissidenti e oppositori politici. Gli imputati vengono in genere condannati in processi privi di garanzie procedurali.

Il 18 aprile, l’analista Michael Petraeus, del think tank di Singapore Critical Spectator, ha definito Xi un «boss mafioso» in un articolo poi rilanciato su Facebook da Ho Ching, moglie dell’ex primo ministro singaporiano Lee Hsien Loong. Ho fa parte del Consiglio consultivo internazionale della Scuola di Economia e Management dell’Università Tsinghua, che ha formato buona parte della dirigenza del Pcc. La condivisione dell’articolo da parte di una figura tanto vicina agli ambienti accademici cinesi ha avuto un impatto politico e simbolico rilevante.

Il 21 maggio, il commentatore politico cinese Cai Shenkun ha affermato sul proprio canale YouTube che alti dirigenti del Pcc avrebbero raggiunto un’intesa per spingere Xi a ritirarsi dalla scena politica. Secondo fonti citate da Cai, il malcontento nei confronti del leader sarebbe ormai diffuso all’interno delle élite, alimentato dalle crescenti pressioni internazionali, dal rallentamento dell’economia e da problemi di salute dello stesso Xi. Il 19 maggio, il Quotidiano del Popolo e Xinhua (i principali organi di propaganda del regime) hanno pubblicato resoconti ufficiali sui contenuti del “Quindicesimo Piano Quinquennale” del Partito. Sorprendentemente, gli articoli facevano riferimento a direttive risalenti all’epoca di Hu Jintao e Wen Jiabao, trascurando completamente gli slogan di Xi Jinping. Un’anomalia che, alla vigilia del Quarto Plenum, lascia supporre un ritorno di influenza degli ex leader e divergenze rispetto alla linea attuale.

VERSO UNA TRANSIZIONE?

Analisti cinesi e osservatori internazionali rilevano come l’insieme di questi eventi, assenze pubbliche, epurazioni di fedelissimi, critiche aperte, suggerisca l’esistenza di una lotta intestina al vertice del Partito. Secondo il politologo Wu Zuolai «sembra essere emerso un gruppo dirigente provvisorio che ha di fatto messo da parte l’autorità centrale di Xi».
Tutto lascia presagire che le élite politiche cinesi si stiano preparando all’eventualità di una transizione post-Xi, con implicazioni potenzialmente profonde per la stabilità del regime e per i rapporti con la comunità internazionale.


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