Da estimatore e amico fedelissimo di Donald Trump ad acerrimo avversario politico in 24 ore. Elon Musk si trasforma e diventa il peggior nemico dello stesso presidente che aveva sempre appoggiato senza riserve (Trump was right about everything, Trump aveva ragione su tutto, diceva un cappellino indossato fino a qualche settimana fa da Musk).
Dopo l’escalation di attacchi da parte di Musk al mega-disegno di legge voluto da Trump, il 5 giugno il Presidente ha dichiarato ai giornalisti di essere «deluso» dall’ormai ex alleato, sostenendo che i suoi attacchi possano essere motivati anche dal fatto che la legge oggetto di discordia riduce i crediti d’imposta per l’energia “green”. Musk ha immediatamente replicato dal suo social X pubblicando una raffica di risposte, e prospettando la possibilità di abbandonare il Partito Repubblicano per fondare un nuovo partito (fino a pochi giorni fa, Musk dava invece l’idea di avere chiuso con la politica). Trump ha quindi replicato su Truth ventilando la possibilità di annullare i contratti pubblici con le aziende di Musk.
Questa clamorosa rottura giunge a pochi giorni dalla pacifica (almeno apparentemente) uscita di Musk dall’amministrazione Trump, dove ricopriva il ruolo di consigliere speciale per il Dipartimento per l’Efficienza Governativa. Trump e Musk avevano espresso apprezzamento reciproco in un amichevole e cordiale evento di commiato organizzato nello Studio Ovale. Ma immediatamente dopo l’uscita dall’amministrazione, Musk ha iniziato ad attaccare ferocemente il mega-disegno di legge – considerato da Trump fondamentale per l’attuazione del proprio programma elettorale – denominato “One Big Beautiful Bill” (una sola grande e bellissima legge), finché il presidente americano ha commentato: «Elon e io avevamo un ottimo rapporto. Non so se lo avremo ancora». Musk gli ha immediatamente risposto con un post su X, “ricordandogli” che il suo appoggio gli ha fatto vincere lo Stato in bilico della Pennsylvania: «Senza di me, Trump avrebbe perso le elezioni, i Democratici controllerebbero la Camera e i Repubblicani sarebbero 51 a 49 al Senato», ha dichiarato Musk, ostentando un “pizzico” di amarezza, «che ingratitudine». Musk, che è uno degli uomini più ricchi al mondo, ha versato 300 milioni di dollari a sostegno di Trump nelle elezioni del 2024, ma il presidente ha risposto facendo notare che la Pennsylvania e la presidenza le avrebbe vinte comunque, con o senza l’appoggio del miliardario della Silicon Valley.
Trump ha anche affermato di essere stato colto di sorpresa dall’opposizione (al limite dell’odio, verrebbe da dire) di Musk al disegno di legge repubblicano, dicendo ai giornalisti che Musk ne conosceva perfettamente il contenuto e suggerendo che l’opposizione di Musk sia motivata, almeno in parte, dalle disposizioni che revocano i sussidi per i veicoli elettrici inclusi. Ma alla base dei volenti attacchi di Musk a Trump – che evidentemente non potevano non portare alla reazione di The Donald– potrebbero esserci anche altre ragioni: dalla “paura” (d’altronde ammessa dal diretto interessato) generata dalle ingenti perdite di Tesla e dall’inaudita violenza di cui sia Musk che la sua Casa automobilistica sono diventati bersaglio da parte della sinistra, alla voglia forse di giocare un ruolo politico proprio – da protagonista, invece che da gregario quale è stato finora – fondando un proprio partito che probabilmente toglierebbe più voti al partito Repubblicano che a quello Democratico.
ONE BIG BEAUTIFUL BILL
Il disegno di legge che fa da sfondo al divorzio Trump-Musk, approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato, elimina gradualmente un credito d’imposta di 7.500 dollari per i veicoli elettrici nel dicembre 2026, e accelera l’eliminazione graduale di altri crediti d’imposta per l’energia “pulita”. Musk ha negato che la sua opposizione sia dovuta ai cambiamenti nella politica sui veicoli elettrici: «Non importa» ha dichiarato in un post, «mantenete i tagli agli incentivi per i veicoli elettrici/solari nel disegno di legge, anche se nessun sussidio per petrolio e gas viene toccato (molto ingiusto!!), ma eliminate la MONTAGNA DI SCANDALOSO SPERPERO nel disegno di legge». Su Truth, Trump ha poi dichiarato che Musk era diventato «un peso», affermando di avergli chiesto di lasciare il suo incarico al Doge; Musk ha replicato negando.
Il presidente degli Stati Uniti ha anche avvertito il miliardario sudafricano che potrebbe recedere dai contratti pubblici della sua SpaceX, notando che tagliarli sarebbe un ottimo modo per risparmiare denaro pubblico. Per una volta una raffinata frecciatina da parte del rude Trump, se si considera che il Doge è stato istituito proprio per ottimizzare la spesa pubblica, principalmente attraverso i tagli agli sprechi: «Il modo più semplice per risparmiare» ha infatti commentato Trump su Truth «miliardi e miliardi di dollari, è terminare i sussidi e i contratti governativi di Elon». Musk ha quindi replicato in un post che SpaceX «inizierà immediatamente a dismettere la sua navicella Dragon». La Dragon 2 è attualmente una delle navicelle più usate per trasportare equipaggi e materiali statunitensi alla Stazione Spaziale Internazionale. Viaggi pagati a SpaceX con soldi pubblici, appunto: decine di miliardi di dollari per contratti sia con la Nasa che con il Pentagono.
Nel dettaglio, questo inaspettato conflitto nasce (almeno apparentemente) da posizioni divergenti sull’impatto del disegno di legge sul deficit federale. L’Ufficio parlamentare del Bilancio il 4 giugno ha previsto che la legge aggiungerebbe 2.400 miliardi di dollari al deficit in dieci anni, ma Trump e i repubblicani replicano che questa è solo una parte della storia, perché il Big Beautiful Bill innescherà una robusta crescita economica, per cui in quei dieci anni l’effetto complessivo della legge saranno una sequenza di riduzioni nette dei deficit annuali. La Casa Bianca ha anche fatto notare che prevede di ridurre il deficit federale di ben 2.800 miliardi di dollari, sempre in 10 anni, solo grazie ai dazi. Per cui, «sommati i due [provvedimenti, ndr], il deficit sarà ridotto di 500 miliardi di dollari in 10 anni» ha infatti dichiarato Alex Pfeiffer, vicedirettore delle comunicazioni della Casa Bianca, su X il 4 giugno. Ma mentre Trump descriveva su Truth il disegno di legge come «un taglio record alla spese, 1.600 miliardi di dollari, il più grande taglio di sempre» Musk lo definiva un «abominio disgustoso» e invitava i suoi sostenitori a esigere dai propri parlamentari che si adoperassero per «affossare il disegno di legge».
Per ora non è chiaro quali conseguenze politiche avrà questo scontro rispetto all’approvazione della legge anche al Senato. Il Presidente spera che la legislazione possa essere approvata entro l’inizio di luglio, ma anche diversi Repubblicani – tra cui i senatori Rand Paul, Ron Johnson e Mike Lee – avevano già espresso per conto loro preoccupazioni di aumento della spesa pubblica. Al Senato, dove Trump non può permettersi più di tre defezioni, sono previste modifiche sostanziali al testo approvato alla Camera.