Nè Putin né Zelensky a Istanbul ma i negoziati proseguono

di Redazione Eti/Tom Ozimek
16 Maggio 2025 6:29 Aggiornato: 16 Maggio 2025 6:32

Putin e Zelensky non parteciperanno alle trattative in Turchia che dovrebbero iniziare questa mattina alle 10 (ora locale). A Istanbul si incontreranno quindi solo le rispettive delegazioni.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha infatti sottolineato, parlando ai giornalisti il 15 maggio, che sebbene Putin non sia presente la Russia ha inviato una delegazione, che è già arrivata a Istanbul e ha mandato per negoziare il cessate il fuoco. «Quale tipo di partecipazione sarà necessaria in seguito e a che livello […] è troppo presto per dirlo» ha aggiunto Peskov rispondendo a una domanda sull’eventuale coinvolgimento di Putin in un secondo momento.

Zelensky, che aveva annunciato la sua partecipazione e invitato Putin a fare lo stesso, parlando ai giornalisti nella capitale turca Ankara ha espresso rammarico per l’assenza del leader russo, dicendo che quindi nemmeno lui parteciperà direttamente ai colloqui e che la delegazione ucraina sarà guidata dal ministro della Difesa, con mandato di discutere un cessate il fuoco.

«Non possiamo andare in giro per il mondo in cerca di Putin» ha commentato Zelensky dopo un incontro con il presidente turco Erdogan ad Ankara, e ravvisando «una mancanza di rispetto da parte della Russia» che non ha voluto dare «nessun orario definito, nessun programma, nessuna delegazione di alto livello» mancando di rispetto sia a Erdogan sia a Trump.

Donald Trump ha minimizzato la decisione di Putin di non partecipare: «non ritenevo possibile che ci fosse Putin senza che ci fossi io» ha detto Trump parlando ai giornalisti durante un incontro con imprenditori a Doha, in Qatar, nel terzo giorno della sua visita in Medio Oriente. Secondo il presidente americano, solo un suo incontro faccia a faccia con Putin potrebbe sbloccare l’impasse nei negoziati. «Ma – ha poi aggiungo Trump parlando sull’Air Force 1 – dobbiamo risolvere la questione, perché troppe persone stanno morendo».

Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha commentato il 15 maggio che sia la Russia sia l’Ucraina devono «accettare compromessi» per raggiungere la pace. Intervenendo a margine di una riunione informale dei ministri degli Esteri della Nato ad Antalya, in Turchia, Fidan ha sottolineato il sostegno di Ankara all’intensa attività diplomatica intrapresa dalle due fazioni per porre fine al conflitto.

La delegazione russa è guidata da Vladimir Medinsky, assistente presidenziale che aveva già rappresentato la Russia nei colloqui (purtroppo falliti) di Istanbul del 2022. Medinsky ha dichiarato ai giornalisti il 15 maggio che Mosca considera gli incontri attuali come una prosecuzione di quelli di tre anni fa, finalizzati a garantire una pace solida: «La delegazione è determinata a essere costruttiva, a cercare soluzioni possibili e punti di incontro – ha detto Medinsky – l’obiettivo dei negoziati diretti con la parte ucraina è quello di raggiungere, prima o poi, una pace definitiva eliminando le cause fondamentali del conflitto».

Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, aveva dichiarato in un’intervista di aprile che le «cause» figurano il ruolo dell’Occidente nel rovesciamento del governo filorusso ucraino nel 2014 e la volontà di Kiev di entrare nella Nato, cosa che la Russia considera inaccettabile. La Russia punta anche il dito contro diverse leggi e politiche che definisce discriminatorie e persecutorie nei confronti dell’etnia russa che vive in Ucraina, insistendo sul fatto che una pace duratura richiede il riconoscimento dei diritti delle popolazioni nelle regioni controllate ora dalla Russia, a partire da un referendum che permetta loro di votare sull’annessione alla Federazione Russa.

Putin, d’altra parte, ha più volte ribadito le sue richieste: l’Ucraina deve cedere dei territori, abbandonare le aspirazioni di adesione alla Nato e dichiararsi Stato neutrale. L’Ucraina però respinge tali condizioni considerandole una forma di resa, e chiede “garanzie di sicurezza” che siano vincolanti per le principali potenze, a partire dagli Stati Uniti.

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