Hamas pronta a rilasciare l’ultimo ostaggio americano ancora in vita

di Redazione ETI/Jacob Burg
12 Maggio 2025 14:03 Aggiornato: 12 Maggio 2025 14:03

L’annuncio di Hamas dell’11 maggio, con cui l’organizzazione terroristica ha dichiarato l’intenzione di liberare Edan Alexander — l’ultimo ostaggio statunitense ancora in vita a Gaza — apre uno spiraglio in un conflitto che da oltre un anno e mezzo devasta la Striscia e continua a causare vittime.

Presentata come un gesto per favorire un cessate il fuoco con Israele e riattivare il flusso degli aiuti umanitari, la mossa si inserisce in un contesto complesso, in cui alle timide speranze di pace si contrappongono profonde diffidenze e una crisi umanitaria sempre più grave.

Originario di Tenafly, nel New Jersey — dove vivono ancora i suoi genitori e fratelli — Edan Alexander, 21 anni, si è trasferito in Israele nel 2022, dopo il diploma, per arruolarsi nelle Forze di difesa israeliane. Alexander è stato catturato durante l’attacco lanciato da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre 2023, che ha segnato l’inizio dell’attuale guerra. La sua sorte – come quella dei 59 ostaggi ancora detenuti a Gaza, di cui solo un terzo sarebbe ancora in vita – rappresenta un nodo cruciale nei negoziati e una ferita aperta per le famiglie. L’assenza di una data certa per il rilascio, unita al silenzio iniziale del governo Netanyahu, mette in luce quanto sia difficile tradurre le dichiarazioni in azioni concrete.

Il leader di Hamas a Gaza, Khalil al-Hayyah, si è detto pronto a «negoziati intensi» per un cessate il fuoco duraturo, uno scambio di prigionieri e il trasferimento dell’amministrazione della Striscia a un organismo indipendente. Uno scenario ambizioso ma costellato di incognite, in cui si inseriscono i recenti contatti tra Hamas e Washington, nonché la pressione esercitata dall’inviato speciale statunitense Steve Witkoff, che ha incontrato le famiglie degli ostaggi. Gli Stati Uniti, pur in un rapporto spesso teso con Israele, tornano così a svolgere un ruolo chiave di mediazione: in passato, i negoziati diretti con Hamas avevano già provocato frizioni tra l’amministrazione Trump e Netanyahu.

Il negoziato si intreccia con un momento diplomaticamente delicato: il presidente Trump è atteso in Medio Oriente, ma senza una tappa in Israele. Intanto il presidente dell’autorità palestinese, Mahmoud Abbas, ha rinnovato l’invito a Hamas a cedere il controllo di Gaza, da cui ha estromesso l’autorità nel 2007 dopo un breve conflitto interno, per trasformarsi in attore politico. Abbas, che ha condannato gli attacchi del 2023 come un pretesto per l’offensiva israeliana, cerca di proporsi come alternativa, ma fatica a imporsi in un quadro profondamente polarizzato.

Il futuro di Gaza – isolata, sottoposta al blocco israeliano ed egiziano, e stremata da anni di guerra – resta al centro della questione. La proposta di liberare Edan Alexander potrebbe essere interpretata come un tentativo di ottenere vantaggi nei negoziati, ma il suo successo dipenderà dalla capacità delle parti di superare un clima di sfiducia reciproca. Yael Alexander, madre del giovane ostaggio, ha definito il recente video del figlio diffuso da Hamas «straziante», ma anche una prova della sua sopravvivenza: una speranza che accomuna molte famiglie.

In questo scenario, il negoziato appare inevitabile, ma denso di ostacoli. La comunità internazionale, con gli Stati Uniti in prima linea, è chiamata a un’azione diplomatica equilibrata, che tenga conto sia delle esigenze di sicurezza di Israele, sia della gravissima emergenza umanitaria a Gaza. La liberazione di Alexander, se confermata, potrebbe segnare l’inizio di un nuovo percorso di dialogo. Ma resta da vedere se si tratterà di un vero passo verso la pace o dell’ennesima occasione mancata.

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