Mentre il regime comunista cinese dice ai giovani che devono sopportare le difficoltà, molti ragazzi della “Generazione Z” rispondono identificandosi in”rat people” (persone-ratto). Gli analisti cinesi affermano che questo fenomeno sottolinea un preoccupante senso di disperazione e mancanza di speranza tra i giovani, tra declino economico e disoccupazione.
Il termine “persone-ratto” è diventato virale sui social: i cosiddetti “ratti” condividono video in cui mostrano di passare la maggior parte del tempo a letto, alzandosi solo per andare in bagno o ritirare consegne di cibo lasciate alla porta. Loro dicono di vivere «a risparmio energetico» e tendono a evitare di socializzare o uscire, alcuni addirittura passano a letto a 23 ore al giorno.
I video e post sui rat people hanno fatto centinaia di milioni di visualizzazioni su Douyin – versione cinese di TikTok – e Weibo, l’equivalente di X. L’hashtag #ratpeople ha più di 10 milioni di visualizzazioni su Weibo, sintomo che purtroppo la tendenza è in forte crescita.
In un video diventato virale, una blogger cinese disoccupata di 27 anni ha condiviso online una sua giornata tipo: sveglia alle 11, un caffè e poi occhi fissi sul telefono per ore. Alle 14 di nuovo a letto fino alle 17, orario in cui la blogger si alza per andare al bagno per poi ritirare un altro caffè che le consegnano alla porta. Alle 19 telefono di nuovo in mano per ordinare cibo da asporto, e alle 21:00 il primo (e unico?) pasto della giornata. Il vlog ha raggiunto 45 mila like su Douyin e oltre 2 mila like su Weibo. La maggior parte degli spettatori ha espresso “ammirazione” per questo stile di vita rilassato, mentre altri hanno addirittura condiviso di vivere così ormai da anni.
Secondo gli esperti, il termine riflette un diffuso pessimismo e rassegnazione tra la Generazione Z: i giovani vedono poca speranza per la società e i governi ed esprimono il loro dissenso attraverso questa forma di rinuncia e di autoabbandono, con uno stile di vita che soddisfa solo i bisogni quotidiani di base. I giovani non vogliono lavorare, perché il duro lavoro non cambia nulla.
Questo fenomeno recente fa eco a una tendenza virale di quattro anni fa, quando molti giovani in Cina hanno respinto la corsa al successo, a favore di uno stile di vita noto come “sdraiato”, nel rifiuto della cultura della dittatura cinese di lavoro estenuante.
Questa deriva non piace al Partito comunista, e Xi Jinping ha invitato la Generazione Z a lavorare sodo e a essere capace di «ingoiare i rospi», e a trasferirsi in campagna per lavorare e sostenere il Partito (per inciso, una palese gaffe del regime: se la grande “potenza” cinese, nel pieno della “rivoluzione” dell’intelligenza artificiale, ha più bisogno di contadini che di informatici, forse qualcosa nel “comunismo alla cinese” non sta funzionando).
LA SPERANZA CROLLA INSIEME ALL’ECONOMIA
Le osservazioni di Xi Jinping arrivano in un clima dominato da una profonda crisi immobiliare, che ha messo in ginocchio la classe media cinese spesso facendole perdere i risparmi di una vita in acquisti di case sulla carta. E a peggiorare la situazione lavorativa c’è una repressione normativa che da anni colpisce il settore privato, dai servizi di consegna a domicilio ai centri di tutoraggio, facendo perdere decine di migliaia di posti di lavoro.
Diversi giovani hanno dichiarato che «questo stile di vita deriva da un’economia debole e da un mercato del lavoro debole in Cina, con molti laureati disoccupati. I dati ufficiali (per quello che valgono) a marzo indicano un tasso di disoccupazione dai 16 ai 24 anni del 16,5%. La cifra non include ovviamente chi ha smesso di cercare lavoro per disperazione. Secondo le linee guida ufficiali cinesi, una persona è considerata disoccupata solo se ha attivamente cercato lavoro negli ultimi tre mesi e può iniziare un lavoro entro due settimane dall’offerta.
Le preoccupazioni sul futuro dell’economia sono aggravate a causa della guerra commerciale con gli Stati Uniti, con molte piccole e medie imprese cinesi che dipendono dal commercio estero, e che hanno dovuto di conseguenza sospendere le operazioni e orientarsi verso il mercato interno, compromettendo innumerevoli posti di lavoro. Secondo gli economisti di Goldman Sachs i dazi americani alla Cina potrebbero minacciare fino a 200 milioni di posti di lavoro, con una crescita economica cinese (ufficiale) che passa quest’anno dal 4,5% al 4% .
Ma anche i pochi fortunati che trovano lavoro si vedono in busta paga un reddito sempre più basso rispetto agli anni precedenti. Chi lavora nel settore pubblico cinese lamenta che i «laureati che lavorano nel pubblico – lavori diventati popolari negli ultimi anni per la sicurezza economica – ora guadagnano circa 4 o 5 mila yuan [tra i 500 e i 600 euro, ndr] al mese», ossia circa un terzo dello stipendio mensile medio riportato dalle autorità di Shenzhen, dove il costo della vita supera di gran lunga quello di molte altre città cinesi.
Non sorprende che, ormai da tanti anni, queste forme di disperazione passiva si manifestino sempre di più tra i giovani della (finora) privilegiata classe media cinese.