Le terre rare e lo scacchiere geopolitico Cina-Occidente

di Redazione ETI/Sean Tseng
6 Maggio 2025 9:45 Aggiornato: 6 Maggio 2025 9:47

La recente decisione di Pechino di rafforzare i controlli sulle esportazioni di alcune terre rare ha riacceso i riflettori sulle dinamiche geopolitiche che regolano l’accesso a queste risorse essenziali. La Cina detiene circa il 90% della capacità di lavorazione mondiale di 17 materie prime cruciali per settori come difesa, energia e tecnologie avanzate.

Annunciate il 4 aprile dal regime cinese, le nuove norme prevedono un iter di autorizzazioni che potrebbe rallentare le esportazioni, con ripercussioni sulle catene di approvvigionamento internazionali. Le licenze speciali sono richieste per l’esportazione di magneti e di sette elementi rari — tra cui samario, gadolinio, terbio e disprosio — utilizzati, ad esempio, nella produzione di veicoli elettrici, turbine eoliche e sistemi missilistici guidati. Anche se ufficialmente destinate a tutti i Paesi, le restrizioni sembrano mirare in modo particolare agli Stati Uniti, colpendo settori sensibili come quello della difesa e aereospaziale.

Secondo diversi analisti, l’obiettivo del Pcc è esercitare pressione su Washington e sfruttare l’attuale dipendenza americana dalle terre rare per ottenere concessioni commerciali. Ma il regime cinese gioca col fuoco: se da un lato la Cina punta a spingere l’industria e il Parlamento statunitensi a rivedere i dazi e i controlli sulle esportazioni, dall’altro rischia di accelerare proprio quel processo di decoupling che intende evitare.

La strategia del regime cinese, infatti, con l’irrigidimento prolungato dei controlli, potrebbe accelerare il disaccoppiamento economico dell’Occidente, spingendo Stati Uniti, Australia, Canada e Unione Europea a investire nella creazione di una filiera alternativa (cosa che peraltro già sta avvenendo, e che il regime cinese dovrebbe tenere in considerazione). Negli ultimi anni, l’Occidente ha iniziato a investire per colmare il cosiddetto anello mancante, finanziando progetti per la lavorazione e produzione di terre rare, con l’obiettivo di raggiungere una propria autonomia mediante una rete di approvvigionamento indipendente entro un decennio. Anche Brasile e Vietnam, ricchi di riserve, stanno esplorando diverse opportunità per incrementare la produzione.

Un precedente storico offre spunti di riflessione. Nel 2010, in risposta a una disputa territoriale, il regime cinese aveva bloccato per sette settimane le esportazioni di terre rare verso il Giappone. Tokyo aveva subito reagito siglando accordi con l’australiana Lynas, finanziando progetti in India e Vietnam e promuovendo il riciclo. Gli Stati Uniti, a loro volta, avevano riaperto la miniera di Mountain Pass in California e investito in scorte strategiche e ricerca sui materie prime sostitute. Nel giro di pochi anni, la quota cinese di produzione mondiale è così scesa dal 98% al 63%, secondo i dati dell’Istituto geologico statunitense.

Oggi la Storia si ripete, ma con variabili nuove. La crescente domanda di terre rare, alimentata dalla transizione verso veicoli elettrici e energie rinnovabili, si scontra con la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento. Iniziative come il riciclo di batterie e componenti di turbine eoliche, sostenute dal ministero dell’Energia statunitense, e lo sviluppo di magneti alternativi da parte di aziende come General Motors e Stellantis, indicano un impegno concreto per ridurre la dipendenza dalla Cina. Tesla, ad esempio, ha già ridotto del 25% l’uso di terre rare nel motore della Model 3.

Sul fronte interno, il Pcc potrebbe trovarsi a gestire un eccesso di offerta, con scorte invendute e difficoltà finanziarie per i produttori locali. Per mitigare l’impatto, il regime potrebbe ricorrere a sussidi, acquisizioni di scorte o consolidamenti tra imprese statali, ma la domanda estera resta una variabile fuori dal suo controllo.

In definitiva, il quadro che si delinea è quello di un mercato in evoluzione, in cui il regime cinese manterrà un ruolo importante, ma senza più la capacità di dettare unilateralmente le regole del gioco. La decisione del Partito comunista cinese potrebbe quindi trasformare un momentaneo vantaggio tattico in una cocente sconfitta nel medio-lungo periodo.

 

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