Il recente annuncio di Tim Cook, Ad di Apple, segna una svolta significativa nella strategia industriale del colosso tecnologico di Cupertino. La maggioranza degli iPhone e di altri dispositivi destinati al mercato statunitense non sarà più realizzata in Cina, ma in India e Vietnam. Una decisione dettata non soltanto da valutazioni economiche, ma anche dalla necessità di ridurre i rischi legati alla concentrazione produttiva in un’unica area geografica.
La decisione è stata presa in un clima di crescente tensione commerciale tra Stati Uniti e Cina. L’amministrazione Trump ha imposto un dazio del 145% sui beni cinesi importati, una misura che avrebbe potuto ripercuotersi direttamente sui consumatori americani. Tuttavia, la Casa Bianca ha temporaneamente escluso una serie di dispositivi elettronici e componenti da tali imposte, allentando momentaneamente la pressione su aziende come Apple.
Cook ha chiarito che, sebbene l’India e il Vietnam diventeranno fornitori chiave per il mercato statunitense, la Cina continuerà a svolgere un ruolo centrale per le vendite internazionali. Attualmente, oltre il 90% dei dispositivi Apple viene realizzato nel Paese asiatico. L’azienda, tuttavia, ha già iniziato a creare riserve di prodotti per evitare di dover fare i conti con eventuali imprevisti sul breve termine. «La nostra filiera è complessa e diversificata. Concentrare tutto in un unico luogo comporta rischi eccessivi», ha osservato Cook, evidenziando l’importanza per Apple nel ridurre la dipendenza da un singolo Paese.
Ma la ristrutturazione della filiera produttiva ha il suo prezzo da pagare. Apple prevede un aumento dei costi pari a circa 900 milioni di dollari nel prossimo trimestre, qualora l’attuale regime dei dazi internazionale resti invariato. Ciononostante, al momento non si registrano segnali di un calo della domanda: le vendite del secondo trimestre hanno raggiunto i 95,36 miliardi di dollari, con un utile di 1,65 dollari per azione, superando le stime degli analisti.
Il contesto, però, rimane incerto. Se finora l’elettronica è stata esentata dai nuovi dazi, Washington ha lasciato intendere che nei prossimi mesi potrebbero arrivare ulteriori restrizioni. Trump stesso, in un intervento su Truth, ha sottolineato l’intenzione di rivedere la catena di fornitura dei semiconduttori e dell’elettronica per garantire una maggiore autonomia produttiva agli Stati Uniti, evidenziando la necessità di rafforzare la produzione interna per ridurre la dipendenza da Paesi considerati ostili, come la Cina.
Parallelamente, Apple (che è una delle aziende più ricche e potenti al mondo) ha annunciato investimenti per 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti, con l’espansione delle proprie strutture in diversi stati e l’apertura di un nuovo stabilimento in Texas dedicato alla produzione di server. Un segnale di impegno verso il mercato interno, ma anche una strategia per consolidare la propria resilienza in un panorama commerciale volatile.
La reazione dei mercati non si è fatta attendere: le azioni di Apple hanno registrato un calo di quasi il 3% nelle contrattazioni pre-mercato di venerdì, un riflesso delle incertezze legate alle tensioni commerciali. Tuttavia, la capacità del colosso californiano di adattarsi rapidamente a un contesto in evoluzione dimostra una visione strategica che non può essere sottovalutata. La diversificazione produttiva, pur complessa, potrebbe rafforzare il posizionamento di Apple in mercati emergenti come l’India.