L’America crea da zero il settore delle terre rare

di Redazione ETI/John Haughey
4 Maggio 2025 9:42 Aggiornato: 4 Maggio 2025 9:42

Agli Stati Uniti potrebbero volerci almeno cinque anni per sviluppare una propria filiera produttiva, capace di sostituire il monopolio internazionale in mano a Pechino, nella lavorazione di elementi delle terre rare.

Secondo Melissa Sanderson, membro del consiglio di American Rare Earths e co-presidente del Critical Minerals Institute, sebbene gli Stati Uniti possiedano già oltre 17 elementi delle terre rare e più di 50 minerali fondamentali per la produzione, non hanno la capacità industriale per raffinarli: «Attualmente, negli Stati Uniti non esistono produttori di magneti». Questo spiega perché il 4 aprile la Cina abbia imposto delle restrizioni all’esportazione delle terre rare, in risposta ai dazi di Trump.

Il ministro del Commercio Howard Lutnick ha 180 giorni di tempo per realizzare uno studio sullo sviluppo della filiera interna americana delle terre rare. Il presidente Trump sta anche considerando un ordine per autorizzare l’estrazione mineraria in alto mare e lo stoccaggio commerciale.

Qualunque azione intraprenda l’amministrazione, con una serie di incentivi e riforme adeguate, l’industria risponderà positivamente, dice l’economista esperto di geopolitica e di Cina Antonio Graceffo: «se la Cina vietasse per sempre la vendita di minerali delle terre rare agli Stati Uniti, sarebbe di fatto una cosa positiva, perché costringerebbe gli Stati Uniti a trovare una soluzione […] Ci sono tante soluzioni che si possono adottare per mettere su una filiera produttiva di terre rare, come le trattative in corso con l’Ucraina. Il problema si può risolvere. In ogni caso, molto meglio se la Cina ci taglia fuori», chiosa l’esperto. Ian Lange, professore di economia alla Colorado School of Mines concorda: esistono anche materiali alternativi ai sette elementi delle terre rare,  dice.

Trump dovrà rivedere alcune restrizioni ambientali, e probabilmente anche i nostri alleati faranno lo stesso», osserva sempre Graceffo, «riportando queste attività in patria, si avranno a disposizione menti brillanti e motivate dal profitto. Il che stimolerà lo sviluppo tecnologico. Perché quando paghi 25 o 30 dollari l’ora gli operai – contro gli 8 centesimi l’ora pagati in Cina – incentivi molto di più a trovare dei modi di lavorare più efficienti».

Gli esperti evidenziano il nuovo modello americano di collaborazione tra pubblico e privato: l’American Rare Earths, ad esempio, ha ottenuto un finanziamento di 456 milioni di dollari dalla Export-Import Bank grazie agli ordini esecutivi di Trump sul potenziamento della filiera interna. Il finanziamento è una questione cruciale nell’industria mineraria, particolarmente in relazione allo sviluppo delle terre rare, per cui servono banche che finanzino le aziende del settore. E gli investimenti necessari, in questo settore, secondo gli analisti sono «enormi».

Ma, come osserva Jack Lifton, presidente esecutivo del Critical Minerals Institute «i grandi investitori non sono attratti» dalle terre rare: «Per quanto se ne parli, resta un’industria marginale nel panorama minerario». Non solo: «Estrarre terre rare dalle rocce è quasi un processo che spesso viene tenuto “segreto”. Nessuno rivela esattamente come fa. E anche quando lo faccia, serve comunque un esperto di altissimo livello per capirlo». Il settore delle terre rare, poi, è composto da molte fasi costosissime, e la lavorazione successiva è un processo complesso, e «non tutti i giacimenti offrono una concentrazione sufficiente per attirare i finanziamenti». E prevedere i tempi di sviluppo delle terre rare è arduo: le stime spesso sono basate su un quadro ideale di prezzi e situazione climatica.

Ma gli oltre 400 miliardi di dollari in crediti fiscali decisi dall’amministrazione Trump e agli incentivi previsti dalla legge sono più che sufficienti a mettere in piedi il settore delle terre rare in America. E persino in modo “sostenibile”.

 

 

 

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