La guerra tra Russia e Ucraina, che da oltre tre anni insanguina il territorio ucraino e sconvolge gli equilibri internazionali, continua a oscillare tra spiragli di dialogo e accuse reciproche. Le recenti dichiarazioni del Cremlino e la risposta di Kiev, così come il ruolo di mediazione degli Stati Uniti, offrono un’istantanea di un conflitto che sembra lontano da una soluzione definitiva.
Martedì, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha ribadito la disponibilità di Mosca a intraprendere negoziati di pace senza precondizioni, come più volte sottolineato dal presidente Putin. Tuttavia, ha lamentato l’assenza di una risposta concreta da parte ucraina. In parallelo, Putin ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale di tre giorni, dall’8 al 10 maggio, in concomitanza con le celebrazioni per l’80° anniversario della vittoria della Grande Guerra Patriottica. Una mossa, secondo il Cremlino, dettata da «motivazioni umanitarie», ma che non sembra aver trovato terreno fertile a Kiev.
Dall’altra parte, Zelensky ha respinto la proposta russa, definendola un’ennesima «manipolazione» volta a garantire a Mosca una pausa strategica per la parata: «Ancora una volta, un tentativo di manipolazione: per qualche motivo, tutti dovrebbero aspettare l’8 maggio per cessare il fuoco, solo per garantire a Putin il silenzio durante la sua parata», ha affermato Zelensky. «Noi diamo valore alle vite umane, non alle parate».
Il presidente ucraino ha rilanciato, chiedendo una tregua immediata di almeno 30 giorni, «completa e incondizionata», che tuteli la sicurezza del Paese e dimostri un reale impegno per la pace. Le sue parole riflettono la diffidenza di un’Ucraina che, dopo anni di conflitto e devastazioni, guarda con sospetto a ogni iniziativa proveniente da Mosca.
Del resto questo scambio di posizioni, accompagnato da accuse reciproche, non è una novità. Lo dimostra la recente «tregua pasquale» di aprile, proclamata da Putin ma subito naufragata tra denunce di violazioni da entrambe le parti. La storia si ripete, con un copione che alterna proposte di pace a escalation militari, lasciando intravedere quanto sia complesso costruire un dialogo credibile.
In questo contesto, gli Stati Uniti cercano di mantenere un ruolo di mediazione, pur con crescenti difficoltà. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha riferito che il presidente Trump è «frustrato» dall’atteggiamento di entrambi i presidenti, sottolineando la necessità di un cessate il fuoco permanente. Trump, pur dichiarandosi ottimista sulla possibilità di un accordo, ha invitato Putin e Zelensky a sedersi al tavolo dei negoziati, riconoscendo però la complessità di una trattativa che richiede compromessi da entrambe le parti.
Il conflitto, con il suo tragico bilancio di vite umane e distruzione, pone una domanda ineludibile: è possibile superare la logica delle accuse reciproche per costruire un percorso di pace? Le posizioni di Mosca e Kiev, al momento, appaiono inconciliabili. Il dialogo resta l’unica via percorribile, ma richiede un impegno che vada oltre le dichiarazioni di intenti. La Storia insegna che la pace si costruisce con pazienza, fiducia reciproca e concessioni difficili. Per Russia e Ucraina, il cammino appare ancora lungo, ma la posta in gioco – la fine delle sofferenze di milioni di persone – rende questo sforzo non solo necessario ma urgente.