Zelensky respinge al mittente la proposta di Putin di incontrarsi a Mosca: «Può venire lui a Kiev» ha dichiarato in un’intervista a Abc News. «Io non posso andare a Mosca mentre il mio Paese è sotto il fuoco dei missili, sotto attacco ogni giorno. Non posso recarmi nella capitale di questo Stato terrorista», ha spiegato il presidente ucraino. Vladimir Putin, nel suo (improbabile) “invito”, aveva detto che accettava di incontrare Zelensky «esclusivamente a Mosca», escludendo implicitamente un incontro in territorio neutrale, come sarebbe normale per due nazioni in guerra. Non sorprende, quindi, che il ministro degli Esteri ucraino, Andrii Sybiha, abbia respinto l’offerta accusando Putin di avanzare «proposte volutamente inaccettabili».
Nel frattempo, Stati Uniti e Coalizione dei Volenterosi stanno portando avanti discussioni (finora puramente accademiche, purtroppo) sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina una volta firmato un eventuale trattato di pace. Intervenendo al forum Ambrosetti di Cernobbio il 5 settembre, Zelensky ha sottolineato gli sforzi per costruire un esteso «sistema di sicurezza terrestre, aereo e marittimo» per spingere la Russia verso la pace, e ha dichiarato che 35 Paesi fanno ora parte della coalizione dei volenterosi, 26 dei quali sono pronti a fornire supporto militare, Stati Uniti inclusi. Zelensky ha poi precisato che «le garanzie di sicurezza devono iniziare a funzionare ora, durante la guerra, e non solo al termine del conflitto». Una proposta comprensibile (la paura che Putin approfitti di una tregua per colpire l’Ucraina è più che giustificata) ma che ovviamente causerebbe lo scontro diretto Nato-Putin, come lo Zar del Cremlino ha ormai innumerevoli volte esplicitamente minacciato.
Si resta insomma bloccati in un vicolo cieco: troppe condizioni e troppi diktat dal Paese invasore, che ora impediscono di trovare una quadra, ora fanno temere che il “pacifismo” di Putin sia solo un bluff: un tranello per vincere con l’inganno una guerra che, alla prova dei fatti, lo Zar non è capace di vincere sul campo di battaglia.
D’altronde, durante la visita a una fabbrica di proprietà statunitense a Kiev, Zelensky ha detto a Abc News che Putin sta temporeggiando e «prendendo in giro gli Stati Uniti»; il giorno stesso, Putin al Forum di Vladivostok ha espresso scetticismo sull’utilità di colloqui diretti, citando quella che lui definisce una «disfunzione politica e costituzionale» in Ucraina: «Anche se ci fosse la volontà politica, cosa di cui dubito ci sono difficoltà legali e tecniche» ha detto Putin facendo riferimento alla legge marziale, ai tribunali sospesi e alle accuse di corruzione, rappresentando però un quadro (quello ucraino) che, obiettivamente, non è peggiore di quello russo. La Federazione Russa, nei fatti, è una dittatura camuffata da democrazia. In Russia, le istituzioni democratiche esistono solo formalmente, subordinate come sono al controllo dello “Zar”, le elezioni sono prive di vera competizione, i giornali sono censurati (i giornalisti intimiditi e eventualmente ammazzati, come Anna Politkovskaja), l’opposizione è perseguitata e la magistratura è asservita al Cremlino. Mentre l’Ucraina (a parte il “dettaglio” che qui è la nazione aggredita) pur con le sue fragilità e i suoi problemi, conserva una struttura pluralistica e una volontà di riforme democratiche.
Insomma: che “Zar Vladimir” si inventi ogni pretesto pur di non affrontare un vero negoziato di pace, e di non ammettere che lui la fine della guerra non la vuole (almeno per ora), non è più solo una sensazione: ormai è l’evidenza.