Washington intensifica la pressione economica sulla Cina attraverso i dazi al Vietnam

di Milton Ezrati
11 Luglio 2025 12:33 Aggiornato: 11 Luglio 2025 22:33

Washington continua a esercitare una pressione incessante sulla Cina. In particolare, ha imposto dazi del 20% sulle merci vietnamite, aumentandoli al 40% per i prodotti prevalentemente realizzati fuori dal Paese, definiti dall’accordo come beni “trasbordati”, e cioè fatti passare attraverso il Vietnam. L’obiettivo degli Stati Uniti è chiaro: contrastare le pratiche con cui le aziende cinesi sfruttano il Vietnam per eludere i dazi americani. I negoziatori statunitensi hanno evidenziato tre tecniche messe in atto da Pechino: in una, i produttori cinesi spediscono merci in Vietnam, dove vengono etichettate “Made in Vietnam” e poi inviate negli Stati Uniti.

Gli esperti sostengono inoltre che i produttori cinesi aggirino i dazi Usa reindirizzando le attività produttive alle loro numerose operazioni in Vietnam, esportando poi i prodotti come vietnamiti. Anche quando le merci sono effettivamente prodotte da aziende vietnamite, gli Stati Uniti sottolineano che contengono così tante componenti cinesi da poter essere considerate di fatto prodotte in Cina, giustificando l’applicazione di dazi. Sia le aziende vietnamite sia il governo di Hanoi hanno mostrato comprensione per la posizione di Washington.

Figure di spicco, sia nel governo che nella comunità imprenditoriale vietnamita, vedono con favore l’opportunità di ridurre la dipendenza dalla Cina e sviluppare prodotti e strutture produttive proprie. Il problema, però, è il tempo: pur aspirando a un futuro in cui i loro prodotti saranno completamente vietnamiti, al momento le merci locali non possono competere con i costi, i volumi e l’affidabilità di quelle cinesi.

Nei negoziati in corso a Washington, le parti cercano di convincere i negoziatori Usa a concedere un periodo di adeguamento più lungo. Sia la delegazione vietnamita sia quella americana confidano che un incontro proposto tra il presidente Donald Trump e il leader del Partito Comunista vietnamita To Lam possa colmare le divergenze. Poiché i negoziati si svolgono a porte chiuse, le informazioni su proposte e controproposte sono limitate.

È emersa qualche discussione sull’idea di fissare un tetto alle componenti cinesi, consentendo ad alcune merci vietnamite di entrare negli Stati Uniti senza dazi elevati. In alternativa, si è ipotizzato un sistema di dazi graduati in base alla quantità di componenti cinesi nei prodotti spediti dal Vietnam agli Usa. Tuttavia, non vi è ancora nulla di definitivo. Qualunque sia l’esito dei negoziati tra Hanoi e Washington, il messaggio degli Stati Uniti a Pechino rimane invariato: Washington è determinata a contenere l’espansione economica della Cina comunista e, di conseguenza, le sue ambizioni nazionali. Se questi colloqui con il Vietnam non hanno chiarito questo intento, lo hanno certamente fatto gli sforzi americani per bloccare l’accesso ai chip informatici americani, anche per gli alleati che operano in Cina. Questa pressione non è esclusivamente il risultato delle politiche di Trump. Sebbene l’ex presidente abbia costruito la sua reputazione di fermezza verso la Cina imponendo dazi nel 2018 e 2019, l’amministrazione Biden ha intensificato le misure sul commercio. Un atteggiamento duro contro il regime cinese sembra essere l’unico sentimento veramente condiviso al Parlamento. E Pechino, senza dubbio, ha recepito il messaggio.


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