Fanno le imprenditrici per scelta e non per ripiego, sono più istruite, preferiscono lavorare con altre donne e sono attente al benessere dei propri collaboratori. Ma di limiti ne hanno tanti: sono meno produttive, più piccole di dimensione, e utilizzano molto il capitale familiare per l’avvio, cosa che limita la propensione ad investire e innovare. Se però puntano sul capitale finanziario (utilizzando incentivi e credito bancario all’avvio), il loro livello di produttività cresce del +33 per cento e raggiunge il +40 per cento se a questo si aggiunge anche la formazione. Sono alcune delle caratteristiche delle aziende guidate da donne messe in luce nel rapporto realizzato da Unioncamere con il supporto del centro studi Tagliacarne e Sicamera. L’analisi è parte del Piano nazionale dell’imprenditoria femminile, gestito da Invitalia in collaborazione con Unioncamere, per conto del ministero delle Imprese e del Made in Italy e finanziato dai fondi europei del Next generation Eu.
Il report viene presentato nel corso della tappa di Roma del Giro d’Italia delle donne che fanno impresa. «E’ una imprenditoria matura, istruita, motivata, con una leadership consapevole quella espressa dalle donne in Italia», ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete. «Una impresa diffusa, che alimenta anche le economie dei territori più fragili e soggetti a spopolamento, e quindi una risorsa preziosa che va accompagnata e seguita perché continui a rafforzarsi. Le imprenditrici sono anche molto attente alle opportunità offerte dagli incentivi del sistema pubblico ma, al tempo stesso, chiedono maggiore semplificazione nell’accesso agli stessi. In tal senso, continua ad essere fondamentale la presenza di strumenti e strutture di accompagnamento oltre che di fondi», ha concluso.«Roma è la prima provincia italiana per numero di imprese femminili: quasi centomila (96.421) al 30 settembre 2025. E il tasso di occupazione femminile a Roma ha raggiunto il 58,5 per cento, valore più alto di sempre», ha detto il presidente della Camera di commercio di Roma, Lorenzo Tagliavanti, che ha aggiunto: «Tuttavia, questi dati, letti sotto una diversa prospettiva, rendono evidenti i divari ancora esistenti in una varietà di ambiti e ci fanno apparire ancora lontano l’obiettivo di superare definitivamente le annose diseguaglianze in tema di parità di genere. In assoluto, il tasso di femminilizzazione delle imprese, a Roma come in Italia, è ancora troppo basso: in pratica, un’impresa su cinque è rosa. La presenza delle donne in posizioni apicali è, poi, ancora limitata.
Occorre lavorare in primo luogo, per migliorare un contesto burocratico, legale e fiscale che spesso ostacola l’attività d’impresa, anziché agevolarla. E, parallelamente, intervenire sulle problematiche che più condizionano la partecipazione delle donne alla vita economica del Paese tra cui la difficoltà di accesso al credito, in particolare per le piccole imprese», ha concluso Tagliavanti. Il milione e 300 mila aziende guidate da donne presenti nel nostro Paese lo scorso anno (+0,4 per cento rispetto al 2014), pari al 22,2 per cento del totale delle imprese italiane, si rivela una leva fondamentale per innalzare la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Le donne, infatti, rappresentano oltre la metà dei dipendenti all’interno delle imprese femminili (54 per cento contro il 39 per cento nelle imprese non femminili).Le imprenditrici, che presentano livelli di istruzione mediamente più alti rispetto ai colleghi uomini (25 per cento delle imprenditrici laureate a fronte del 21 per cento degli imprenditori) e che nell’85 per cento dei casi provengono da un percorso lavorativo precedente, scelgono di mettersi in proprio come percorso di autorealizzazione (nel 37 per cento dei casi) e non come una alternativa alla mancanza di lavoro dipendente (27 per cento).
Questa motivazione genera imprese più orientate alla qualità e alla valorizzazione delle risorse umane. Cosa che emerge anche considerando l’attenzione riservata ai collaboratori: il 28 per cento delle imprese femminili, infatti, adotta misure di conciliazione dei tempi di vita lavorativa e privata (contro il 22 per cento delle non femminili), ma la presenza di una leadership laureata aumenta l’attenzione al welfare fino al 40 per cento. L’universo femminile dell’impresa italiana, contraddistinto da dimensioni aziendali piuttosto piccole (il 96,2 per cento ha meno di dieci addetti, sebbene le “taglie” superiori stiano aumentando), sconta purtroppo un livello di produttività inferiore del 60 per cento rispetto a quello delle imprese non femminili. Il 74 per cento delle imprese femminili fa ricorso al capitale proprio o familiare per l’avvio d’impresa, fattore che, pur generando una maggiore stabilità iniziale, può frenare la propensione delle imprese a investire in modo strutturato.Se però le capitane d’azienda decidono di far ricorso al credito bancario (strada praticata dal 37 per cento delle imprese femminili, in misura analoga a quella delle imprese non femminili), in otto casi su dieci investono (contro il 70 per cento delle imprese femminili che non hanno attivato finanziamenti bancari). Le imprenditrici, inoltre, sono molto propense a chiedere incentivi: il 27 per cento li ha già utilizzati e il 19 per cento ha intenzione di utilizzarli (quote pari al 23 per cento e al 18 per cento nel caso delle non femminili). Le misure più utilizzate? Aiuti regionali e credito d’imposta; il 15 per cento ha utilizzato incentivi gestiti da Invitalia. Nonostante dimensioni mediamente più contenute, le imprese femminili mostrano una buona propensione ad investire, soprattutto in beni tangibili (macchinari, attrezzature Ict) e ammodernamento organizzativo. Le imprese femminili che utilizzano finanziamenti all’avvio e incentivi pubblici mostrano, rispetto alle altre, una maggiore produttività del lavoro (+33 per cento), che sale ulteriormente (+40 per cento) quando le aziende guidate da donne puntano anche sulla formazione del capitale umano. Inoltre, queste imprese mostrano una probabilità di investire superiore del +10 per cento rispetto alle altre imprese femminili, che diventa del +14 per cento quando si impegnano anche sul fronte della formazione.




