Un prigioniero di guerra torturato e la scelta di perdonare

In occasione del 50° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, veterani giapponesi
Photo: guidati da Nagase Takashi marciano attraverso il tratto più famoso della Ferrovia Birmana, il ponte sul fiume Kwai, per incontrare due ex prigionieri di guerra australiani il 15 agosto 1995 a Kanchanaburi, in Thailandia. KULTIDA PIRIYPHAN/Getty Images
Da Changi fu trasferito a Kanchanaburi, in Thailandia, per lavorare sulla famigerata Ferrovia della Birmania. Chiamata anche «Ferrovia della morte», questa linea di trecento miglia fu costruita tra la Thailandia e la Birmania (oggi Myanmar) per sostenere le forze giapponesi che operavano in quel Paese. Quasi centomila uomini morirono durante la costruzione della ferrovia, ridotti in fin di vita dal lavoro estenuante, dalla malnutrizione e dalle malattie. Di quei centomila, 12 mila erano prigionieri di guerra britannici, australiani, olandesi e americani.
Lomax non aveva idea del destino che lo attendeva, quando si arruolò nel Royal Corps of Signals, l’unità incaricata delle comunicazioni militari, poco prima della Seconda guerra mondiale. Prima di arruolarsi, all’età di vent’anni, Lomax aveva lavorato nel servizio civile come addetto allo smistamento delle poste e come telegrafista a Edimburgo, suo luogo di nascita. Una volta entrato nei Signals, Lomax raggiunse il grado di sottotenente.
LA TORTURA

Lavoratori prigionieri di guerra davanti al ponte sul fiume Mae Klong (ribattezzato fiume Kwai Yai nel 1960), nel settembre 1945 circa, a Tamarkan, in Thailandia. (Pubblico dominio). Ritratto modificato e ritagliato di Eric Lomax dalla copertina dell’edizione 2014 di The Railway Man. Leicester: Charnwood.

Prigionieri di guerra australiani e olandesi in Thailandia, intorno al 1943, affetti da beriberi (carenza di vitamina B/tiamina). Australian War Memorial, Canberra. Pubblico dominio
In ogni caso, nel 1987 decise di intraprendere una terapia. Lomax fu il primo paziente della Fondazione medica per le vittime della tortura di Londra, sotto le cure della direttrice della fondazione, Helen Bamber, che lo aiutò a elaborare quanto gli era accaduto. Tuttavia, Lomax desiderava sempre rifarsi sugli ex carcerieri e fare loro del male, secondo le sue stesse parole: «l’idea della vendetta era ancora molto viva in me».
DI FRONTE AL TORTURATORE
Secondo le sue stesse parole: «in quel momento persi la dura corazza che mi avvolgeva e cominciai a pensare l’impensabile: che avrei potuto incontrare Nagase faccia a faccia, semplicemente e con buona volontà. Il perdono divenne più di un’idea astratta: ora era una possibilità reale».

Copertina dell’edizione 2014 del libro di Eric Lomax The Railway Man. (Leicester : Charnwood) e copertina di Crosses and Tigers and the Double-Edged Dagger di Nagase Takashi, 2010. Sheffield: Paulownia Press Ltd.
Finalmente, nel 1993, i due ex nemici accettarono di incontrarsi a Kanburi, in Thailandia, presso il ponte sul fiume Kwai, che era parte della ferrovia su cui Lomax aveva lavorato tanti anni prima.
Nel libro di memorie The Railway Man, Lomax racconta questo incontro quasi surreale, in preda a tante emozioni contrastanti: «Da un centinaio di metri di distanza lo vidi camminare sul ponte; non poteva vedermi. Era importante per me avere quest’ultimo momentaneo vantaggio su di lui: mi preparava, anche ora che non volevo più fargli del male».
Lomax ricorda: «Non provavo alcuna simpatia per quest’uomo, eppure Nagase, grazie alla sua totale umiltà, ha capovolto la situazione. Nei giorni successivi abbiamo trascorso molto tempo insieme, parlando e ridendo, e abbiamo scoperto di avere molto in comune». Lomax si rese conto che Nagase era distrutto quanto lui, anche se in modo diverso.
Il loro incontro è culminato con la lettura da parte di Lomax di una lettera ufficiale di perdono a Nagase. I due uomini concordarono di restare in contatto, divenendo persino buoni amici. Uno dei momenti più bui e desolanti del XX secolo ha ceduto alla luce, trasformandosi in una voce di speranza e di riconciliazione, di avvicinamento e di dialogo che ha trasceso le ferite più profonde.
Dopo l’incontro in Thailandia, Lomax è riuscito finalmente a trovare una risposta e un po’ di pace. «Il perdono è possibile» ha scritto. Lomax, scomparso nel 2012, ha capito che persistere all’infinito nella rabbia e nella vendetta non porta alla guarigione: «Prima o poi l’odio deve finire».
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