Con la scadenza del primo agosto alle porte, gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo commerciale con il Giappone. Lo ha annunciato martedì Donald Trump via social: «Ho appena firmato […] forse l’intesa più importante della Storia» ha dichiarato Trump «Ci abbiamo lavorato a lungo e con impegno, ed è un accordo straordinario per tutti. Ben diverso dai trattati del passato».
In un post su Truth, il presidente degli Stati Uniti ha rivelato alcuni dettagli dell’intesa: il Giappone (uno dei mercati più ricchi ed evoluti al mondo) aprirà a prodotti americani come automobili, camion, riso e altri beni agricoli e ad altre categorie merceologiche, applicando dazi reciproci del 15% sui prodotti statunitensi e soprattutto scongiurando l’aumento al 25% preavvisato da Trump in caso di mancato accordo entro la scadenza.
Ma secondo fonti governative e industriali vicine all’intesa, anche il Giappone ha ottenuto una significativa vittoria, alla luce della riduzione del 10% dei dazi sulle sue automobili, che passano dal 25% al 15%; produttori come Toyota, Honda e Nissan, ad esempio, beneficeranno enormemente di questo dazio ridotto.
In cambio, il Giappone investirà 550 miliardi di dollari negli Stati Uniti e, soprattutto, destinando il 90% dei profitti al mercato americano. Un accordo «che creerà centinaia di migliaia di posti di lavoro» ha commentato Trump trionfante, «non si era mai visto nulla di simile».
Sul fronte europeo, Donald Trump ha annunciato che oggi, mercoledì 23, si terranno a Washington i negoziati con l’Unione Europea, a valle della ormai famosa lettera inviata ai 27 Stati membri dell’Ue, preavvisandoli dell’arrivo dei dazi del 30% sui loro prodotti a partire dal 1° agosto, in caso di mancato accordo.
Sempre nella giornata di ieri, Trump ha confermato i dettagli dell’accordo commerciale tra Stati Uniti e Indonesia anticipato la settimana scorsa. L’intesa prevede che l’Indonesia – che, con i suoi 283 milioni di abitanti, è una delle nazioni più popolose al mondo – azzeri i dazi sul 99% delle importazioni americane e rimuova anche le barriere non doganali. I prodotti indonesiani in ingresso negli Stati Uniti saranno invece soggetti a un dazio del 19%, inferiore al 32% inizialmente prospettato. Inoltre, l’Indonesia fornirà minerali, acquisterà prodotti agricoli americani, energia e aerei (Boeing). Un accordo che «è una grande vittoria per i nostri produttori di automobili, aziende tecnologiche, lavoratori, agricoltori e allevatori» ha dichiarato Trump, commentando un’intesa elimina anche le restrizioni all’importazione, licenze e risolve annose questioni di proprietà intellettuale. La Casa Bianca stima che questo accordo varrà circa 50 miliardi di dollari per gli Stati Uniti.
Ma l’intesa con Giacarta va ben oltre il mero business: l’Indonesia vieterà l’importazione di prodotti realizzati sfruttando il lavoro forzato (verosimilmente in Cina) e abolirà varie norme interne che limitano l’azione dei sindacati e i diritti di contrattazione collettiva. Inoltre, il nuovo accordo include precise regole di transhipment per impedire al regime cinese di sfruttare i benefici dell’intesa con l’Indonesia: i beni realizzati con componenti e/o materie prime provenienti da Paesi soggetti a dazi più elevati, saranno colpiti da un dazio americano del 40%.
Parallelamente, Trump ha confermato che le Filippine (12o milioni di abitanti) saranno il prossimo Paese a finalizzare un accordo commerciale. Dopo aver accolto il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. alla Casa Bianca martedì, Trump ha annunciato su Truth che il Paese asiatico aprirà il proprio mercato ai prodotti americani con dazi zero, mentre le esportazioni filippine verso gli Stati Uniti saranno soggette a un dazio del 19%
Gli accordi con Indonesia e Filippine rappresentano il secondo e il terzo siglati dagli Stati Uniti dopo le lettere inviate da Trump a decine di Paesi in vista della scadenza del primo agosto.
Quanto alla Repubblica Popolare Cinese e alle altre nazioni, il ministro del Tesoro americano, Scott Bessent, parlando di «dialogo costruttivo» in corso, ha dichiarato ieri a Fox News che la scadenza del 12 agosto con la Cina probabilmente sarà ulteriormente posticipata con la prospettiva di «ottenere grandi risultati», ha detto Bessent, sottolineando la volontà americana di affrontare temi come le sanzioni al petrolio iraniano e russo, oltre che di spingere il regime cinese a ridurre l’eccesso di produzione industriale e a passare a un’economia orientata al consumo interno, invece che all’esportazione. Obiettivo più che ambizioso, considerando che il Partito comunista cinese ha trasformato (ormai da diversi decenni e con i soldi occidentali) la nazione che aveva ridotto alla fame nella “fabbrica del mondo”. Una posizione di vantaggio che difficilmente il regime cinese accetterà di perdere. A meno che la crisi del Partito non sia molto più grave di quanto già si sappia.