Trump: a noi interessa produrre chip non magliette

di Redazione ETI/Andrew Moran
28 Maggio 2025 15:21 Aggiornato: 28 Maggio 2025 15:21

In uno scenario mondiale sempre più competitivo, il presidente americano Trump ha recentemente delineato una nuova linea commerciale mirata a riportare negli Stati Uniti la produzione nazionale nei settori della difesa e della tecnologia avanzata, relegando in secondo piano l’industria dell’abbigliamento. Già ad aprile, il ministro al Tesoro, Scott Bessent, aveva dichiarato che le priorità dell’amministrazione riguardano «i lavori del futuro», a discapito dei settori che hanno fatto perdere quote di mercato.

«Vogliamo costruire equipaggiamenti militari. Vogliamo produrre cose importanti», ha dichiarato Trump. «Onestamente, io non voglio fabbricare magliette. Non voglio produrre calzini. Lo possiamo fare benissimo da qualche altra parte. Quello che noi vogliamo è costruire chip, computer e […] carri armati e navi».

Le reazioni del settore abbigliamento non si sono fatte attendere: l’American Apparel & Footwear Association, su X ha criticato Trump sostenendo che la politica dei dazi rischia di aggravare il calo produttivo e di far lievitare i prezzi al consumo.

La Casa Bianca ha progressivamente introdotto dazi su un’ampia gamma di prodotti e Paesi, con l’obiettivo di rilanciare la manifattura nazionale. Il risultato è stato un forte incremento degli investimenti privati, da parte di imprese statunitensi e straniere, per migliaia di miliardi di dollari. Nell’ambito di questa strategia, la scorsa settimana Trump ha annunciato l’intenzione di imporre un dazio del 25% alla Apple, a meno che l’azienda non trasferisca la produzione degli iPhone negli Stati Uniti. Lo stesso avvertimento è stato rivolto anche ad altri produttori di smartphone, come Samsung.

Attualmente, la presenza manifatturiera nel settore smartphone all’interno degli Stati Uniti è ancora limitata rispetto a Paesi come Cina, India e Vietnam, che riforniscono il mercato americano con milioni di dispositivi all’anno. Apple e Samsung rappresentano la quota maggiore delle vendite.

Nel settore tessile, a fronte di decenni di delocalizzazioni, l’introduzione del Nafta nel 1994 (North American Free Trade Agreement, l’accordo di libero scambio tra Canada, Stati Uniti e Messico) ha favorito le esportazioni statunitensi ma ha spinto molte imprese a trasferire la produzione in Messico, attratte dal costo del lavoro inferiore. In aggiunta, l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio ha accelerato il processo di delocalizzazione, e dal 1991 gli Stati Uniti hanno visto passare la quota del settore dal 56% al solo 3% con una perdita di posti di lavoro di circa 800 mila addetti.

Le imprese americane ed europee hanno beneficiato della rete produttiva cinese a basso costo. Attualmente, circa il 40% delle importazioni statunitensi di abbigliamento e accessori proviene dalla Cina. Secondo l’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, riportare parte della produzione sul territorio nazionale è un obiettivo realistico.

La Casa Bianca ha inoltre annunciato l’intenzione di fare degli Stati Uniti un leader mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale. A gennaio è stato lanciato il progetto “Stargate”, un’iniziativa infrastrutturale da 500 miliardi di dollari, sostenuta da OpenAI, Oracle e dal gruppo giapponese SoftBank, con l’obiettivo di potenziare le capacità computazionali del Paese.

Il Ceo di Nvidia, Jensen Huang, ha elogiato gli sforzi dell’amministrazione, dichiarando il 24 maggio a un evento in Svezia: «Il presidente vuole che la tecnologia americana prevalga, con aziende come Nvidia che vendano chip a livello mondiale, generando ricavi, imposte, investimenti e occupazione negli Stati Uniti. Rafforzare la produzione interna e garantire la sicurezza delle catene di fornitura sono obiettivi strategici condivisibili».

Per quanto riguarda la difesa, gli Stati Uniti detengono già il primato mondiale nell’export di armamenti. Secondo un rapporto del ministero degli Esteri pubblicato a gennaio, nel 2024 le vendite di equipaggiamenti militari americani a governi esteri hanno raggiunto il record di 319 miliardi di dollari, con un incremento del 29% rispetto all’anno precedente. Le vendite dirette da parte delle imprese private sono ammontate a circa 201 miliardi, mentre quelle gestite dal governo federale si sono attestate a quasi 118 miliardi.

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