Un ingegnere informatico originario di Pechino ha lanciato un grave allarme-sorveglianza per chiunque usi smartphone prodotti in Cina. L’ingegner Liu Dadong è fuggito negli Stati Uniti nel 2019, dopo che il fratello minore era stato accusato di essere a favore dell’indipendenza di Taiwan. In un’intervista esclusiva, Liu Dadong ha rivelato l’esistenza di un progetto ordinato dal Partito comunista cinese e mirato al controllo totale di hardware e software mobile: dai chip con codici nascosti alle app capaci di prendere il controllo totale del telefono, il regime comunista cinese ha realizzato un sistema capace di sorvegliare totalmente chiunque usi uno smartphone cinese in ogni angolo della Terra.
La storia di Liu Dadong inizia nel 2017, quando viene assunto da un’azienda tecnologica nel distretto di Zhongguancun, la “Silicon Valley” cinese. Poco dopo, il suo gruppo di lavoro riceve l’incarico di preparare un’offerta per un contratto con la marina militare cinese. Inizialmente, crede che l’azienda sia stata coinvolta solo per dare una parvenza di competizione, come spesso accade nei bandi destinati a grandi imprese con agganci politici. Ma il progetto si rivela autentico: creare un sistema che imponga a ogni marinaio l’installazione di un’app personalizzata, capace di raccogliere ogni dato e inviarlo a un server centrale. Una volta installata, l’app ottiene i massimi permessi e cattura ogni informazione: app aperte, siti visitati, chiamate effettuate, tasti digitati, ricerche online, foto scattate, con relativi luoghi e orari. Una lista di termini sensibili, aggiornata da un database ufficiale, segnala in tempo reale le ricerche vietate. Un sistema di localizzazione registra ogni spostamento del telefono oltre i 100 metri da un punto stabilito e notifica automaticamente la violazione ai superiori, a volte senza informare l’utente. Spostamenti frequenti fuori dalla base possono bastare per essere etichettati come spie. Un sistema può essere adattato a qualunque contesto: scuole, aziende o privati.
L’insidia maggiore si nasconde nei chip: le backdoor integrate sono praticamente impossibili da individuare senza i documenti con specifiche di progettazione. Questo spiega perché il Partito comunista cinese stia ora accelerando per sostituire i semiconduttori stranieri, anche se quelli cinesi sono meno performanti. Secondo il Financial Times, nel 2024 la Cina ha infatti ordinato di eliminare i microprocessori Intel e Amd dai computer pubblici. Già nel 2022, Bloomberg riportava che agenzie e imprese statali dovevano sostituire i Pc stranieri con modelli nazionali entro due anni, per un totale di almeno 50 milioni di dispositivi solo nella pubblica amministrazione. Un chip straniero con un interruttore di spegnimento potrebbe, in caso di conflitto, bloccare ogni dispositivo o trasmettere dati falsi, lasciando il regime cinese senza difese.
In Cina, i sistemi di sorveglianza di massa SkyNet e Sharp Eyes integrano oltre 600 milioni di telecamere in una rete unificata per il riconoscimento facciale, vocale e dell’andatura. Quasi tutte le app cinesi richiedono permessi totali: una volta concessi, algoritmi sofisticati incrociano cronologia di navigazione, impronte vocali, andature e contatti per tracciare con estrema precisione le inclinazioni politiche degli utenti. Tecnologie ormai mature, che possono essere impiegate anche contro gli americani. A un livello base, servono per truffe telefoniche; a un livello più avanzato, analizzano abitudini d’investimento, preferenze politiche o la frequenza delle visite in luoghi di culto in uno specifico codice postale. Con dati sufficienti, il regime cinese sarebbe capace di fare qualunque cosa: influenzare tendenze economiche, innescare proteste o manipolare l’elettorato in caso di elezioni. Già nel 2022, l’Fbi ha denunciato che la dittatura comunista cinese ruba più dati personali e aziendali agli Stati Uniti di tutte le altre nazioni messe insieme. A giugno, la commissione ristretta della Camera degli Stati Uniti sul Pcc ha segnalato al ministero del Commercio che gli smartphone del marchio cinese OnePlus potrebbero trasmettere i dati degli utenti americani a server controllati da Pechino, mettendo a rischio la sicurezza nazionale.
In Cina, la privacy è un’illusione. Anche gli iPhone venduti ufficialmente devono rispettare le norme di sicurezza cinesi. I telefoni contrabbandati offrono qualche garanzia in più, ma il regime può comunque escluderli dalla rete o monitorarli con altri metodi. «L’unico modo per restare invisibili» dice l’ingegner Liu, «è usare un vecchio Nokia che serve solo per telefonare». La sua famiglia ha vissuto in prima persona i rischi del sistema. Nel 2018, dopo che il fratello ha pubblicato video a favore di Taiwan durante le elezioni, la polizia ha mostrato ai genitori trascrizioni delle loro chat private su WeChat. Quando ha cercato di difendere il fratello sui social, il suo account è stato cancellato dopo due commenti; poi la polizia ha cominciato a “fare visita” ai genitori, mentre i funzionari locali del Partito lo chiamavano continuamente a rapporto. «Io mi ero sempre considerato uno leale e obbediente — racconta Liu Dadong — e all’improvviso il pugno di ferro dello Stato si abbatteva su di noi senza motivo». Era ora di fuggire all’estero: nel febbraio 2019, Liu Dadong ha acquistato un biglietto di sola andata e ha lasciato la Cina. Oggi, dagli Stati Uniti, lancia il suo allarme all’Occidente: la rete di sorveglianza a suo tempo progettata dal suo gruppo di lavoro, può essere applicata ovunque arrivi la tecnologia cinese. Il messaggio è a dir poco inquietante: con la dittatura cinese, nessuno al mondo è al sicuro.