Sempre più incerto il futuro di Xi Jinping (e del regime cinese)

di Cheng Mulan, Luo Ya, Cindy Li, Emiliano Serra
1 Giugno 2025 17:19 Aggiornato: 2 Giugno 2025 7:55

Le voci di lotte di potere tra i vertici del Partito comunista cinese continuano a emergere e a intensificarsi, mettendo Xi Jinping al centro di guerre di potere crescenti. Secondo fonti interne al Partito di Epoch Times Usa il potere di Xi sarebbe minacciato da tre fattori: l’ascesa delle cosiddette “organizzazioni grigie”, la coalizione delle fazioni politiche rivali e l’epurazione di figure chiave del settore militare.

LE “ORGANIZZAZIONI GRIGIE”

Un documento del ministero dell’Interno cinese destinato ai quadri di livello provinciale e ministeriale, segnala che nel primo trimestre 2025 in tutta la Cina è cresciuta notevolmente la partecipazione alle organizzazioni grigie, associazioni informali fra cittadini di vario genere che, ovviamente, preoccupano non poco il regime. Durante i loro incontri, i membri di queste associazioni esprimono costantemente insoddisfazione per la società cinese e soprattutto per la politica. Se la guerra dei dazi tra Usa e Cina dovesse riprendere ai livelli di un mese fa e l’economia cinese dovesse continuare a andare male, queste associazioni potrebbero facilmente trasformarsi in organizzazioni politiche «che rappresenterebbero una minaccia significativa per la stabilità sociale» dice il ministero dell’Interno nel suo documento.

LE FAZIONI AVVERSE A XI JINPING

Oltre alle crescenti preoccupazioni a livello sociale, Xi Jinping deve vedersela anche con due fazioni avversarie all’interno del Pcc che, benché da sempre in contrasto tra loro, ora si sono alleate contro Xi.

La fazione dei “Principi” – guidata da Deng Pufang, figlio del defunto segretario generale del Pcc Deng Xiaoping, e Chen Yuan, figlio dell’ex vicepremier Chen Yun – chiede un ritorno alle politiche di riforma e apertura di Deng Xiaoping: l’errore di Xi, per loro è quello di aver abbandonato la strategia di Deng di “nascondere le capacità del Pcc e aspettare il momento giusto”, causando problemi economici e diplomatici. Mentre la fazione maoista, di ultrasinistra, di fatto chiede un ritorno alla Rivoluzione Culturale e accusa Xi di essersi arreso all’imperialismo, incolpandolo della situazione attuale del regime.

E nonostante l’incompatibilità ideologica, le due fazioni hanno stretto un’alleanza basata sul comune nemico Xi, per impedirgli di ottenere un altro mandato al 21esimo Congresso del Partito comunista cinese del 2027 e assumere loro il controllo del Pcc, anche se, è facile intuire come le due fazioni inizierebbero a scannarsi l’una con l’altra, non appena eliminato il  nemico comune. La storia del Partito comunista cinese (e del comunismo in generale) è  infatti costellata da incessanti lotte di potere interne, che ciclicamente affiorano per poi tornare a inabissarsi nel “silenzio” tipico di tutti i sistemi tirannici. La calma (apparente) dei regimi comunisti si raggiunge solo in presenza di un dittatore forte, come spiega la fonte di Et Usa: «Sotto la stretta sorveglianza e il controllo di Xi su tutta la società, sia i Principi sia l’ultra-sinistra hanno poco spazio di manovra. Qualsiasi fazione prenda il potere, anche quelle che appaiono come riformiste all’interno del sistema, non può risolvere il problema fondamentale cinese. L’unico vero rimedio per la Cina sarebbe una democrazia costituzionale». Secondo Weijie Chen, presidente della sezione di New York dell’Alleanza per la Democrazia e i Diritti Umani in Cina, «dopo la fine del Pcc, il nostro governo provvisorio dovrà restituire il voto al popolo cinese. Ogni cittadino cinese deve avere il diritto di votare e di candidarsi. Solo allora potremo diventare un Paese veramente libero, democratico e costituzionale» osserva il dissidente in esilio, che poi aggiunge: «possiamo trarre ispirazione dal sistema statunitense, in particolare dalla sua Costituzione e dalla separazione dei poteri. Credo che, tra i sistemi attuali nel mondo, il modello degli Stati Uniti, benché non perfetto, sia il più adatto a noi cinesi».

IL PROBLEMA DEI MILITARI

Ma la minaccia più sorprendente per Xi Jinping arriva dalle forze armate. He Weidong, terzo nella scala di potere delle forze armate cinesi e vice presidente della Commissione militare centrale, non appare in pubblico dall’11 marzo, giorno di chiusura del Congresso Nazionale del Popolo. E Miao Hua, ex capo del dipartimento del Lavoro Politico e fidato stratega di Xi in campo militare (come questo giornale ha riportato poco tempo fa) è stato indagato a novembre 2024, e le autorità non hanno ancora annunciato ulteriori sviluppi sul suo caso. He Weidong, Miao Hua e l’assistente principale di Xi, Zhong Shaojun, erano una volta definiti il “triangolo di ferro” dell’esercito cinese. Ma ora che sono tutti indagati, il potere di Xi sulle forze armate del Partito ha subito un duro colpo.

L’analista esperto della Cina Cai Shenkun, in proposito ha evidenziato che la campagna anticorruzione militare si è svolta in due fasi: la prima ondata, dopo le Due Sessioni del 2023, ha preso di mira Zhang Youxia, primo vice presidente della Commissione militare; poi, le indagini da aprile si sono concentrate quasi esclusivamente sul cerchio ristretto di Xi, ha infatti scritto su X Cai Shenkun: «ad aprile 2024, la situazione si è completamente ribaltata: ora gli indagati sono tutti stretti alleati di Xi Jinping».

Le fonti parlano di un ribaltamento di fronte che potrebbe anche portare alla caduta di Xi Jinping, per tre motivi: prima di tutto, l’assistente principale di Xi, Zhong Shaojun, è stato riassegnato ad aprile 2024 come commissario politico dell’Università della Difesa Nazionale; secondo, Miao Hua, stratega militare di importanza assoluta per Xi, è indagato; e terzo, il vice presidente della Commissione militare He Weidong è chiaramente in grave difficoltà, ed è altamente improbabile che torni alla sua posizione precedente. Queste tre figure, un tempo considerate il “triangolo di ferro” della struttura di potere militare di Xi, o sono finite sotto processo o sono state messe in un angolo. E questo indica che l’epurazione che sta travolgendo l’esercito è direttamente mirata a indebolire la base di potere di Xi nelle forze armate.

L’ex delfino di Xi Miao Hua avrebbe subito un crollo psicologico già al primo giorno di detenzione: interrogato, pare abbia confessato vari crimini in cui sono coinvolti almeno altri 80 militari. Con la collaborazione di tre segretari di Xi, il numero di ufficiali coinvolti è salito a oltre 1.300, fra cui quasi cento generali di brigata e di divisione, la maggior parte dei quali erano stati promossi ai vertici delle forze armate direttamente da Xi o dai suoi fedelissimi.

In conclusione, continuano ad arrivare notizie a dir poco allarmanti (per Xi Jinping, ovviamente) sul futuro politico dell’attuale segretario generale del Partito comunista cinese. E considerato che a voler far fuori Xi è un’alleanza di due fazioni nemiche, con opposte visioni su come realizzare il “sogno comunista”, la caduta di Xi potrebbe innescare una reazione a catena capace di far crollare l’intero regime comunista cinese.


Iscriviti alla nostra newsletter - The Epoch Times

Consigliati