Poco probabile la chiusura dello Stretto di Hormuz

di Agenzia Nova
25 Giugno 2025 13:26 Aggiornato: 25 Giugno 2025 13:26

Una interruzione prolungata del traffico marittimo attraverso lo stretto di Hormuz, da anni centro per il commercio mondiale di petrolio e gas naturale, rischia di avere «impatti per i Paesi che hanno traffici marittimi di forniture energetiche che interessano le rotte arabe» e per l’Iran stesso, dunque è «poco probabile una sua chiusura».

Lo ha spiegato ad Agenzia Nova Massimo Deandreis, direttore generale Srm, centro studi e ricerche per il Mezzogiorno che fa capo al gruppo Intesa Sanpaolo. «Per lo Stretto di Hormuz transita il 27 per cento del traffico mondiale via mare di petrolio greggio e raffinato ed è il primo choke point mondiale per passaggio di volumi di energie fossili con 880 milioni di tonnellate caricate sulle petroliere, circa tremila navi al mese», ha ricordato Deandreis. Ne consegue che «se dovesse avvenire un suo blocco prolungato – ha aggiunto – vi sarebbero impatti per i Paesi che hanno traffici marittimi di forniture energetiche che interessano le rotte arabe». «È il caso, ad esempio, di Cina, India e Giappone che sono i primi tre importatori di petrolio greggio proprio via Hormuz – ha spiegato Deandreis -. Ma occorre considerare che la chiusura dello Stretto impatterebbe molto negativamente anche sugli stessi paesi arabi che vi si affacciano come Emirati Arabi, Arabia Saudita, Qatar e Kuwait che utilizzano le navi per i loro traffici energetici; senza contare che per lo stesso Iran lo Stretto è un passaggio fondamentale per l’esportazione del proprio greggio». Questi sono «elementi che dovrebbero indurre a considerare poco probabile una chiusura, soprattutto se prolungata, che sarebbe inoltre una violazione del diritto di libera navigazione. L’annunciata tregua allontana questa pericolosa ipotesi», ha concluso.

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