Petrolio o non petrolio? Il dilemma amletico del governo britannico

di Redazione ETI/Owen Evans
3 Giugno 2025 17:47 Aggiornato: 3 Giugno 2025 17:47

Per oltre 50 anni, il Mare del Nord ha rappresentato un pilastro dell’industria energetica mondiale, fino a quando il Regno Unito ha iniziato a privilegiare le fonti rinnovabili a scapito dei combustibili fossili. Di recente, Donald Trump sta “tornando” al petrolio.

«Il Regno Unito dovrebbe abbandonare le costose e antiestetiche turbine eoliche per ridurre i costi dell’energia», ha scritto Trump il 23 maggio su Truth, invitando a «incentivare trivellazioni moderne nel Mare del Nord, dove si trovano vaste riserve di petrolio» far scendere il prezzo. Trump ha anche criticando il sistema fiscale britannico, considerandolo obsoleto e disincentivante per gli investimenti. Le sue parole si inseriscono in un contesto politico interno sempre più divisivo sull’agenda net-zero. Il primo ministro scozzese, John Swinney, ha minimizzato le dichiarazioni, definendole prevedibili. Tuttavia, diversi leader industriali le considerano un segnale d’allarme: è ormai sotto gli occhi di tutti come le attuali politiche energetiche soffochino la produzione industriale, comportino costi energetici esorbitanti per le famiglie, scoraggiano gli investimenti e mettano persino a rischio la sicurezza nazionale.

Le osservazioni di Trump — giunte poco dopo un accordo commerciale tra Stati Uniti e Regno Unito — si contrappongono alla linea del primo ministro laburista, Keir Starmer, e del ministro dell’Energia e Net-Zero, Ed Miliband, impegnati nella transizione ecologica verso le zero emissioni. Il Partito Laburista ha infatti escluso nuove licenze per petrolio, gas e carbone, proseguendo gli impegni fissati nel Climate Change Act del 2008, e mantenuto la tassa sui Profitti energetici introdotta nel 2022 con un’aliquota iniziale del 25% e oggi salita al 38%, applicata ai profitti delle compagnie petrolifere e del gas.

La Scozia continua a essere il cuore pulsante della produzione energetica britannica. Secondo NatureScot, è il primo produttore di petrolio e il secondo di gas in Europa, con attività concentrate offshore, oltre le 12 miglia nautiche dalla costa. Dalla scoperta dei giacimenti negli anni Cinquanta e Sessanta, la Gran Bretagna ha gradualmente abbandonato il carbone, puntando ora sulle rinnovabili. Organismi come National Grid individuano grandi potenzialità nell’eolico offshore, ma l’incertezza normativa e la pressione fiscale scoraggiano l’esplorazione di nuovi giacimenti, anche in aree con riserve già note.

Nel 2023, Deltic Energy ha abbandonato un progetto nel Mare del Nord, citando «retorica politica negativa» e instabilità fiscale, fattori che hanno ostacolato il finanziamento del giacimento Pensacola, stimato in 326 milioni di barili. Nello stesso anno, Shell ha individuato un importante campo di gas naturale nel Mare del Nord meridionale, il più rilevante dell’ultimo decennio.

IMPORTAZIONI E VULNERABILITÀ

Secondo Francesco Mazzagatti, amministratore delegato di Viaro Energy, che gestisce 30 giacimenti nel Mare del Nord, le parole di Trump riflettono una realtà innegabile: le attuali scelte energetiche del Regno Unito danneggiano l’interesse dell’Inghilterra: «Il Mare del Nord resta cruciale. Disincentivare la produzione interna mentre si aumentano le importazioni espone famiglie e imprese a costi imprevedibili, delegando la sicurezza energetica a governi esteri», ha dichiarato, definendo la Tassa sui Profitti Energetici un deterrente per gli investimenti. «Ignorare il potenziale del Mare del Nord non è progresso, è irresponsabilità. La tassa va eliminata subito».

A maggio, la Camera di Commercio di Aberdeen e Grampian ha denunciato il taglio di 350 posti da parte di Harbour Energy, definendolo un «allarme rosso» per la sicurezza energetica e per gli obiettivi della transizione. Dall’introduzione della tassa, oltre 10 mila posti di lavoro sono andati persi. Con l’intenzione del governo di mantenerla fino al 2030, si teme un futuro fatto di maggiori importazioni, più emissioni e occasioni economiche perse.

PRODUZIONE LOCALE PER RIDURRE L’IMPATTO AMBIENTALE

Steve Brown, amministratore delegato di Orcadian Energy, promotore di un progetto da 80 milioni di barili nel Mare del Nord, ha sottolineato l’assurdità dell’importare energia quando si potrebbe produrla in casa: «La produzione locale genera lavoro, migliora la bilancia commerciale e consente un controllo diretto sulle emissioni», ha affermato, riconoscendo l’importanza degli obiettivi climatici ma avvertendo che l’approccio attuale rischia di compromettere l’economia. «Se non lo produciamo noi, lo farà qualcun altro», ha osservato, aggiungendo che il Regno Unito rischia di diventare un esempio negativo di come non affrontare la transizione.

Il governo fatica a conciliare sostenibilità e sviluppo. Il partito populista Reform UK propone di revocare il divieto alle nuove trivellazioni, mentre l’ala conservatrice, con la leader Kemi Badenoch, chiede l’abbandono dell’obiettivo net-zero al 2050, considerato irrealistico. Il ministero dell’Energia e Net-Zero e il Ministero dell’Interno non hanno rilasciato dichiarazioni in merito alle parole di Trump né al futuro delle attività nel Mare del Nord.

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