Perché la stabilità dei prezzi è un’illusione pericolosa

di Frank Shostak per Et Usa
22 Luglio 2025 21:39 Aggiornato: 22 Luglio 2025 21:39

Quasi tutti gli economisti concordano su un’idea: il compito principale di una Banca Centrale è garantire la stabilità dei prezzi, cosa ritenuta essenziale per la crescita economica e il benessere dei cittadini. Prezzi stabili permettono di cogliere con chiarezza le variazioni relative tra i costi di beni e servizi, consentendo alle imprese di interpretare correttamente i cambiamenti nella domanda e nell’offerta. In questo modo possono rispondere alle preferenze dei consumatori e ottimizzare l’uso delle risorse. William J. McDonough, ex presidente della Federal Reserve Bank di New York, ha infatti affermato: «A lungo termine, la stabilità dei prezzi rappresenta l’unico contributo duraturo che la politica monetaria può offrire alla crescita, in ogni Paese».

Se, per esempio, il prezzo dei pomodori sale rispetto a quello delle patate, le imprese sono spinte a produrre più pomodori e meno patate. Questa capacità di riconoscere e seguire le variazioni relative dei prezzi garantisce un’allocazione efficiente delle risorse, in linea con i desideri dei consumatori. Secondo questa teoria, se l’inflazione — intesa come aumento generale dei prezzi — resta stabile, i produttori possono identificare con precisione le variazioni dei prezzi relativi e mantenere un uso ottimale delle risorse. Ma quando l’inflazione diventa instabile, distinguere tra variazioni dovute a dinamiche di mercato e aumenti legati all’inflazione diventa difficile, con conseguente allocazione errata delle risorse e perdita di ricchezza.

Alla base delle politiche di stabilizzazione dei prezzi c’è l’idea che la moneta sia neutra e influenzi solo il livello generale dei prezzi, senza modificare i rapporti tra i prezzi di beni e servizi: se una mela si scambia con due patate, il prezzo di una mela è due patate, quello di una patata è mezza mela. Se una mela vale un dollaro, una patata varrà mezzo dollaro. Questi rapporti possono variare in base alla domanda e offerta di mele, patate o dollari, ma l’introduzione della moneta non cambia il rapporto di scambio: resta 2:1. Così, un venditore di mele, con un dollaro, può acquistare due patate.
Secondo questa visione, un aumento della quantità di moneta riduce proporzionalmente il suo potere d’acquisto e fa salire i prezzi, mentre una diminuzione lo accresce, abbassando i prezzi. Ma il rapporto tra mele e patate rimane invariato. Se la massa monetaria raddoppia e il potere d’acquisto si dimezza, una mela costerà due dollari e una patata un dollaro. Con due dollari, il venditore di mele potrà comunque comprare due patate. Il concetto stesso di “livello generale dei prezzi”, calcolato come media dei prezzi nel tempo, è fuorviante, perché aggrega beni diversi in valori monetari.

Ma quando nuova moneta entra in circolazione, i primi a riceverla ne traggono vantaggio, perché possono acquistare beni a prezzi ancora invariati. Con l’immissione di moneta nel sistema, i prezzi salgono in modo disomogeneo, generando distorsioni che influenzano le scelte economiche, perché chi riceve la moneta più tardi si trova di fronte a prezzi già aumentati, con un potere d’acquisto ridotto e un’economia destabilizzata da squilibri produttivi. Quindi, l’incremento della massa monetaria redistribuisce la ricchezza dai beneficiari tardivi a quelli iniziali, e altera le preferenze di consumo e i prezzi relativi.
Le variazioni della quantità di moneta attivano dinamiche che modificano la domanda di beni e i loro prezzi. Poiché il prezzo di un bene dipende sia dalla domanda e offerta del bene stesso sia dalla domanda e offerta di moneta, questi fattori restano intrecciati e non possono essere separati. Se in un anno il prezzo dei pomodori aumenta del 10% e quello delle patate del 2%, non è possibile stabilire quanto dipenda dalle variazioni nella domanda e offerta dei beni e quanto dai cambiamenti nella massa monetaria. Questa impossibilità rende discutibile l’idea di misurare e stabilizzare un “livello generale dei prezzi”.

Una volta, il noto economista americano, Murray Rothbard, ha osservato: «Il valore di scambio generale della moneta non può essere definito o misurato in contesti storici. Se non sappiamo di cosa si tratta, non possiamo mantenerlo costante». Se un dollaro si scambia con una pagnotta, il suo potere d’acquisto è una pagnotta. Se si scambia con due pomodori, è due pomodori. Ma queste informazioni non consentono di calcolare il potere d’acquisto totale, perché non si possono sommare pomodori e pagnotte. Si può solo stabilire il potere d’acquisto rispetto a un insieme di beni scambiabili in un determinato luogo e momento.

Per molti economisti, la stabilità dei prezzi è il pilastro di un’economia sana, in quanto favorisce un uso efficiente delle risorse e migliora le condizioni economiche. Ma una politica monetaria che mantenga aumenti costanti dell’indice dei prezzi implica un incremento della massa monetaria, che genera distorsioni produttive e il rischio di cicli di espansione e contrazione. I prezzi stabili possono ingannare, nascondendo gli effetti dell’inflazione monetaria, quando accompagnati da un aumento reale della produzione che riduce costi e prezzi.
Rothbard ricordava: «Negli anni Venti, la stabilità dei prezzi generali convinse gli economisti che non vi fosse rischio di inflazione, lasciandoli impreparati di fronte alla Grande Depressione». Oggi, seguendo la stessa logica, gli economisti rischiano di essere colti di sorpresa dai danni di una politica monetaria inflazionistica, nonostante l’apparente stabilità dei prezzi promossa dalla Banca Centrale americana.

Articolo originale da Mises.org


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