L’archetipo della “madre soffocante”, reso celebre dall’opinionista e intellettuale americano Jordan Peterson per analizzare le dinamiche sociali e politiche odierne, rappresenta un istinto materno di protezione portato all’estremo. La cura materna richiede equilibrio: offrire amore e sicurezza, ma anche lasciare al bambino lo spazio per esplorare il mondo e affrontare rischi. Senza rischio, lo sviluppo autentico non può avvenire. La madre soffocante, al contrario, castra il figlio, poi l’adolescente e l’adulto, con un’attenzione opprimente che ne blocca il potenziale. Si tratta di una preoccupazione benintenzionata ma dannosa, un’ossessione per la sicurezza, che Peterson associa all’ascesa delle politiche “woke” e del “politicamente corretto”. Questo atteggiamento si manifesta anche altrove, come nell’industria medica, il cui controllo sulla società cresce incessantemente.
Nel romanzo Qualcuno volò sul nido del cuculo di Ken Kesey, pubblicato nel 1962, l’infermiera Mildred Ratched incarna questa figura. A capo dell’ospedale psichiatrico di Salem, distrugge i pazienti con un amore che li priva della sanità mentale e, in ultima analisi, della vita, tutto giustificato come un’azione per il loro “bene”. «Viviamo in un matriarcato», osserva un paziente con amarezza. Non è casuale che, nell’estate del 2020, durante la pandemia, una serie televisiva abbia rilanciato l’immagine di Mildred Ratched per una nuova generazione, mentre il Covid-19 stravolgeva le vite di milioni di bambini.
Un atteggiamento analogo emerge nel dibattito sull’autismo, dove una gentilezza mal calibrata rischia di soffocare ricerche capaci di alleviare le sofferenze di milioni di bambini. Recentemente, il ministro della Salute, Kennedy Jr., ha annunciato dalla Casa Bianca un’indagine definita «la più completa di sempre» sull’autismo, mirata a identificare i fattori ambientali dietro l’aumento vertiginoso dei casi. Durante una conferenza stampa, ha descritto con emozione le difficoltà affrontate da chi soffre di autismo e dalle loro famiglie, specialmente nei casi gravi, con bambini non verbali destinati a non vivere mai in modo indipendente. L’autismo, ha dichiarato, «devasta le famiglie».
Nelle settimane successive, il ministro Kennedy ha ribadito l’urgenza di questa indagine, chiarendone gli obiettivi. In un’intervista radiofonica con John Catsimatidis, ha sostenuto che l’autismo supera per gravità l’epidemia di Covid, poiché colpisce i giovani all’inizio della loro vita, compromettendone il futuro. «È un’epidemia che eclissa il Covid per impatto, perché il Covid ha colpito gli anziani, mentre l’autismo danneggia i bambini, proprio quando inizia la loro produttività», ha affermato. Ha poi sottolineato i costi economici: entro il 2035, l’autismo costerà mille miliardi di dollari all’anno.
Molti hanno accolto l’annuncio come un passo necessario, ma in alcuni ambienti ha suscitato reazioni indignate. Alcuni hanno definito le parole di Kennedy «irrispettose», giudicando irrealistico e fuorviante l’obiettivo di individuare cause ambientali. Altri ritengono che, proponendo una cura, Kennedy suggerisca che le persone autistiche non abbiano valore nella loro condizione, come se dovessero essere “normali” a ogni costo.
L’autismo è una questione emotivamente carica, come tutti i temi legati al benessere dei bambini. Le persone autistiche e le loro famiglie, che sopportano il peso maggiore di questa condizione, meritano comprensione per le loro reazioni. In passato, le persone autistiche e disabili sono state emarginate, private di diritti e disumanizzate. I loro diritti, conquistati con fatica, vanno difesi con determinazione. Tuttavia, l’emozione può offuscare il giudizio. È possibile amare un bambino disabile e desiderare che la sua condizione non colpisca altri. La sofferenza non deve essere tramandata, per parafrasare il poeta Philip Larkin. La questione si semplifica se, come propone il ministro Kennedy, si tratta di eliminare tossine ambientali, evitando pratiche come la selezione degli embrioni o la fecondazione in vitro, che sollevano complessi dilemmi etici legati all’eugenetica.
Kennedy ha ragione a evidenziare la portata allarmante del problema. Lo stesso giorno della sua conferenza, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie ha reso noto che nel 2022 l’autismo colpiva 1 bambino su 31, rispetto a 1 su mille negli anni Novanta. Attribuire questo aumento solo a diagnosi più precise o a una maggiore consapevolezza non è credibile. Qualcosa sta cambiando e il fenomeno coinvolge un numero sempre maggiore di bambini. Pur riconoscendo una componente genetica, molti casi sembrano legati a fattori ambientali. Kennedy ha indicato cinque elementi da analizzare: muffa, additivi alimentari, pesticidi, vaccini e ultrasuoni, ciascuno supportato da evidenze scientifiche, come studi epidemiologici e casi clinici.
La muffa, ad esempio, è un fattore significativo. I bambini autistici presentano spesso una maggiore presenza di microbi patogeni, come il lievito Candida albicans, nell’intestino. I sottoprodotti fungini appaiono in alte concentrazioni nelle loro urine. Studi aneddotici dimostrano che trattamenti antifungini possono eliminare i sintomi dell’autismo in casi resistenti ad altre terapie. In un caso, un bambino con gravi sintomi di autismo e una crescita fungina intestinale è stato trattato con itraconazolo e sporanox. In tre mesi, tutti i sintomi sono scomparsi e il bambino ha sviluppato notevoli capacità accademiche, atletiche e musicali.
I cinque fattori elencati da Kennedy non coprono tutte le possibili cause ambientali — il glutine, ad esempio, è spesso associato a disturbi mentali — ma costituiscono una solida base di partenza. L’autismo è un problema complesso e non tutti i casi potrebbero derivare da cause ambientali. Tuttavia, se tali cause esistono, è possibile individuarle e affrontarle, alleviando le sofferenze di molte persone. Rinunciare a questo sforzo per timore di mancare di rispetto a chi è autistico significherebbe precludere la possibilità di un mondo migliore con una gentilezza fuori luogo. Un rischio che non si può giustificare.
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