Un’analisi alternativa della Trumponomics

Le politiche economiche di Donald Trump hanno confuso gli economisti e provocato le ire di molti, compresi alcuni membri del Partito Repubblicano. Il suo protezionismo ha allontanato gli alleati e le sue leggi in materia fiscale sono state oggetto di aspre critiche. Eppure, dopo 18 mesi di governo, gli Stati Uniti godono di bassa disoccupazione e di una forte crescita economica: il disastro, che molti avevano previsto a causa di Trump, non si è materializzato.

BILANCIO POSITIVO

Secondo il principe Michele di Liechtenstein, il fondatore di Geopolitical Intelligence Services (Gis), bisognerebbe analizzare le politiche economiche di Trump con calma ed equilibrio: «La percezione pubblica del programma economico di Donald Trump è che sia un caotico mix di misure protezionistiche, riduzione delle tasse per i ricchi, aumenti scoordinati nelle spese per le infrastrutture e tagli antisociali ai sussidi sanitari – sostiene Michele di Liechtenstein – Ora il pubblico si sta concentrando soprattutto sulle accuse di protezionismo. Ma il mantra della presente amministrazione non è contro il libero scambio di per sé, ma contro le pratiche scorrette di alcuni partner commerciali degli Usa».

Trump, d’altronde, non è l’unico presidente americano ad aver criticato le pratiche commerciali scorrette della Cina; e certe misure come la Trans-Pacific Partnership (Tpp) e la Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip) contengono a loro volta misure protezioniste che non hanno nulla a che fare con l’attuale amministrazione.

Secondo Michele di Liechtenstein, la riduzione delle tasse per le imprese, il taglio dei costi della burocrazia e l’incoraggiamento degli investimenti sono tutti obiettivi validi e costituiscono dei cambi di passo positivi rispetto alle politiche dei governi precedenti: «Il successo di qualsiasi programma economico dipende dalla sua applicazione. Dato che l’economia non è una scienza esatta, ci saranno conseguenze impreviste, sia buone che cattive. In questa luce, ci sono le basi per essere ottimisti sugli effetti economici della presidenza Trump».

E LE GUERRE COMMERCIALI?

Quella di protezionismo è un’accusa contro Trump tra le più feroci. Alcuni analisti paventano persino guerre commerciali mondiali nel prossimo futuro. In effetti, il commercio globale è in rallentamento e i leader del mondo hanno minacciato ulteriori barriere. Ma incolpare Trump di questa tendenza è disonesto, secondo l’esperto di Gis Enrico Colombatto: «Il commercio internazionale era ingolfato e in calo ben prima che Trump facesse giuramento […] Incolpare l’attuale è amministrazione è semplicistico». Secondo Colombatto, il futuro della globalizzazione è «tutt’altro che senza speranza».

«I passi avanti nella rimozione delle barriere al commercio e al capitale potrebbero forse rallentare o persino bloccarsi, a causa del caos geopolitico […] Tuttavia l’economia globale si sta sviluppando a un ritmo notevole. Più il mondo sta bene, più difficile sarà eliminare la fonte della sua prosperità». Ovvero, il commercio internazionale.

Ovviamente Trump ha di fatto eretto alcune barriere e, tra queste, i nuovi dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio (rispettivamente del 25 e del 10 per cento) hanno attirato una particolare attenzione.

Emmanuel Martin, altro esperto del Gis, sostiene che il governo Trump stia facendo un errore simile allo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, che secondo molti economisti ha avuto effetti disastrosi: «L’idea semplicistica secondo cui ‘le esportazioni sono buone e le importazioni sono cattive’ è sbagliata». Infatti, creare delle barriere porta a ritorsioni, a un aumento dell’autarchia e, alla fine, a una minore crescita economica globale.
Colombatto sostiene che il successo nell’applicazione di queste barriere potrebbe risultare in una vittoria di Pirro, in quanto la riduzione del disavanzo commerciale con Paesi come Giappone e Cina rafforzerebbe in ultima istanza il dollaro, rendendo le esportazioni americane meno competitive e le importazioni meno costose: «Quindi si ritorna al punto di partenza, con un disavanzo commerciale che aumenta».

L’esperto Derek Scissor, sostiene però che le iniziative protezioniste di Trump non avranno un impatto economico negativo grave quanto molti pensano, poiché che gli Stati Uniti non hanno un problema di crescita lenta, scarsa innovazione o bassi consumi: «Dove la disuguaglianza è alta, la partecipazione economica scende e il consumo prende una quota alta del Pil, l’aiuto protezionistico per i produttori e i lavoratori in difficoltà è più sentito. Il principale problema degli Stati Uniti non è che il protezionismo danneggerà i consumatori, dato che il loro potere d’acquisto al momento è alto. Ma è che l’economia interna è così grande che persino cambiamenti enormi nella politica commerciale non causano un grande impatto [interno, ndr]».

L’ARTE DELLA NEGOZIAZIONE

La strategia economica di Trump preferisce gli accordi bilaterali a quelli multilaterali. Trump si è ritirato rapidamente dal Tpp e ha iniziato a rinegoziare il Nafta con Canada e Messico, e se non ha messo formalmente fine alle negoziazioni sul Ttip, è evidente come non ne sia entusiasta.

Uwe Nerlich, un altro esperto del Gis, ha osservato che la conclusione di nuovi accordi con Paesi singoli sarà un processo lungo e faticoso: «La rinegoziazione di patti commerciali è un processo lungo e dai risultati incerti. Questo significa che il nuovo presidente non può contare sui successi in quest’area per sostenere la sua politica interna nel breve periodo». L’esperto del Gis Walter Lohman ha studiato gli effetti della politica commerciale americana nel Pacifico e conferma: «Il contesto attuale rende molto difficile il tentativo di stringere nuovi potenziali accordi commerciali in Asia».
Il Giappone, per esempio, non è interessato ad accordi bilaterali dopo aver fatto concessioni per il Tpp, secondo Lohman. Le amministrazioni precedenti avevano dato inizio a negoziazioni con Paesi del Sudest Asiatico, ma non hanno concluso alcun accordo e non risultano elementi per poter dire che adesso cambierà qualcosa. E l’Office of the U.S. Trade Representative «semplicemente non ha le risorse per affrontare efficacemente nuove negoziazioni», considerando che ha ricevuto il compito di ottenere accordi di esenzione da 232 dazi con dei singoli Paesi. 

LA SFIDA DEL NAFTA

Rinegoziare il Nafta si dimostrerà ancora più complesso. Andrew Selee, un esperto esterno, ritiene che la determinazione di Trump a rivedere l’accordo sia stata «la più grande preoccupazione delle autorità messicane».
«Il governo messicano dovrà pensare strategicamente a quali concessioni intende fare. Dovrà anche coordinarsi con il governo canadese per rafforzare la propria posizione, in quella che altrimenti potrebbe diventare una negoziazione molto pericolosa per l’economia messicana».

Finora Trump ha incontrato una forte resistenza da parte sia di Canada che Messico, nella rinegoziazione dell’accordo. Ma, nel breve termine, l’ottenimento di concessioni potrebbe risultare meno importante per Trump, rispetto al far vedere al proprio elettorato che sta lavorando per cambiare l’accordo.

TAGLIO DELLE TASSE

A dicembre del 2017, Trump ha ottenuto la più grande vittoria della sua presidenza, con l’approvazione dei tagli alle tasse e della riforma del lavoro. Il centro della riforma è stato tagliare le tasse per le imprese americane dal 35 per cento al 21 per cento. La legge ha anche tagliato le aliquote per gli individui, e raddoppiato la detrazione forfettaria, oltre ad aver aumentato i crediti d’imposta per i figli.

A febbraio del 2017, il professor Colmbatto aveva previsto che la vera scommessa dell’amministrazione Trump sarebbe stata sul taglio delle tasse anziché il protezionismo: «Se il governo Trump riuscirà a implementare il lato del programma presidenziale relativo alla politica fiscale (meno tasse alle imprese) – scriveva Colombatto – gran parte della retorica minacciosa sul protezionismo rimarrà semplicemente retorica».

Colombatto ha però citato alcuni possibili pericoli. Pur esaltando le virtù delle imposte basse, ha affermato che esse, combinate all’aumento della spesa previsto da Trump, potrebbero portare a un tasso debito-Pil insostenibile. Di conseguenza, i benefici delle imposte basse risulterebbero modesti, mentre i costi economici e politici potrebbero rivelarsi sostanziali nel lungo periodo.

INCORAGGIAMENTO DEGLI INVESTIMENTI

Poco prima che Trump firmasse i tagli delle tasse, Michele di Liechtenstein ha affermato che le critiche su questa legge «non sembrano basate sui fatti, ma anzi piuttosto soggettive, per lo più emotive e ideologiche». Il principe fa notare che secondo i critici il taglio alle imposte sulle imprese porterà al pagamento di dividendi per i ricchi azionisti, mentre la realtà è che le piccole e medie imprese ne beneficeranno grandemente e impiegheranno le risorse così liberate in investimenti. Anche l’analista Adam Michel conferma che i tagli alle tasse porteranno a una nuova era per gli investimenti americani: «Le aziende si sono già impegnate a espandersi nel prossimo anno. AT&T si è impegnata a investire un miliardo di dollari nelle infrastrutture americane e nel personale, nell’anno 2018. Boeing, Wells Fargo, Comcast e molte altre aziende più piccole hanno a loro volta annunciato aumenti salariali, bonus e altre spese come risultato della riforma fiscale. E ci si può aspettare anche altro nei prossimi anni».

La riforma risulterà in un’aumento improvviso di 400 miliardi del debito nazionale, che al momento ammonta a 20 mila miliardi di dollari. Ma, secondo il Michele di Liechtenstein, l’aumento delle entrate è previsto che coprirà i 400 miliardi in un decennio. Il problema maggiore del debito statunitense, non sarà il taglio delle tasse ma la spesa, che è in continua crescita e si prevede aumenterà di 10 mila miliardi di dollari nei prossimi dieci anni.

LA FEDERAL RESERVE

L’analista del Gis Lars Christensen ha osservato che Trump e la Federal Reserve potrebbero clamorosamente diventare amici. Infatti, nonostante le critiche del presidente alle politiche monetarie lasche dell’allora capo della Fed Janet Yellen, era, è chiaro che i mercati non si aspettassero delle forti fluttuazioni dei tassi di interesse. Inoltre le restrizioni della Fed aiuterebbero ad aumentare la domanda interna degli Stati Uniti.
In più, la spesa pianificata da Trump, specie in riferimento alle infrastrutture, «permetterebbe alla Fed di aumentare i tassi d’interesse senza causare una stretta monetaria».

RIVOLUZIONE DELLA BUROCRAZIA

Oltre alle iniziative commerciali e fiscali, che hanno avuto grande attenzione mediatica, un’altra rivoluzione di Trump è quella sulla burocrazia, come fa notare l’esperta del Gis Diane Katz.

La Casa Bianca ha infatti ritirato 635 norme, ne ha rese inattive altre 244 e ha ritardato l’entrata in vigore di altre 700. Trump ha anche chiesto alle agenzie federali di tagliare i costi futuri della burocrazia del settore privato di altri 9 miliardi e 800 milioni di dollari.

L’amministrazione Trump ha emanato 1.209 nuove norme, ovvero un terzo rispetto a quella di George W. Bush (3.233) e di Barack Obama (3.356) nello stesso periodo di tempo. Il numero di norme ‘importanti’ (quelle che dovrebbero costare al settore privato dai 100 milioni di dollari annui in su) sono state solo 32 durante il primo anno di Trump, rispetto alle 73 di Obama e le 51 di Bush.

Questi cambiamenti potrebbero avere un effetto positivo sull’economia statunitense, dato che «studi indipendenti stimano a 2 mila miliardi annui il costo della burocrazia statunitense per il settore privato: più di quanto ricavato dalle tasse sugli stipendi ogni anno».

I COMBUSTIBILI FOSSILI

Anche la politica energetica – con l’aumento dell’estrazione dei combustibili fossili – costituisce una parte importante dell’economia firmata Trump. Aumentando la produzione di petrolio, gas e carbone, gli Stati Uniti possono far crescere la propria economia e ottenere l’indipendenza energetica. Il boom dell’olio di scisto e del gas, che ha avuto inizio negli Stati Uniti, mostra il potere dei mercati, come spiega l’esperto del Gis Carole Nakhle: «I guadagni economici risultati dallo sviluppo dell’industria e forse ancora di più dalla riduzione delle importazioni di petrolio e gas, daranno alla nuova amministrazione Trump una vita più lunga. L’ottenimento dell’indipendenza energetica è stata l’aspirazione di quasi tutti i presidenti statunitensi dalla Seconda Guerra Mondiale. […] Grazie alla rivoluzione dello scisto questo sogno potrebbe diventare realtà con Trump».

 

Geopolitical Intelligence Services è un istituto di ricerca con sede in Liechtenstein. Questo articolo è stato pubblicato inizialmente su Gis Reports Online.

Il punto di vista espresso in questo articolo è quello dell’autore e non riflette necessariamente quello di Epoch Times. 

Articolo in inglese: Analyzing Trumponomics

 
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