Un movimento studentesco contro il Green Pass. L’intervista

Di Alessandro Starnoni

Epoch Times Italia ha intervistato Filippo Dellepiane, studente 19enne di Filosofia a Firenze e coordinatore di ‘Studenti contro il Green Pass’, un gruppo che sta avendo molto seguito sui social e che successivamente è divenuto un movimento attivo nelle varie piazze e università italiane.

I media in generale dicono che gli studenti sono d’accordo con il Green Pass, è davvero così?

«Diciamo di no. Altrimenti non esisterebbe la rete di Studenti contro il Green Pass. Che il governo abbia lavorato soprattutto sul blocco giovanile, sul blocco degli studenti, questo è vero, nel senso che la fascia giovanile o gli studenti siano quelli che in questo periodo di più – utilizzando però dei termini che sono comunque generali, generalissimi – hanno preso parte alla vaccinazione (che di per sé non è il problema, questo è chiaro: è lo strumento politico a essere il problema), questo è assolutamente vero.

Dopodiché credo che il governo Draghi abbia fatto un grosso errore nell’introduzione della formula del Green Pass perché si è riattivato qualcosa a livello giovanile, che comunque parlando proprio di termini politici generali non c’è mai stato prima: in questi ultimi 15 anni era difficile scorgere qualcosa nel panorama giovanile che avesse una portata tutto sommato rivoluzionaria di freschezza dal punto di vista dei contenuti, in una generazione che difficilmente si è interessata a questioni legate alla società civile, ai diritti o alla Costituzione, quindi dire quello che dicono i media, che i giovani siano in blocco a favore del Green Pass secondo me è tendenzialmente scorretto.

C’è una minoranza più o meno grande che ha deciso di mettersi a combattere contro questa cosa aberrante che è il Green Pass, che propone una battaglia tutto sommato agguerrita, utilizzando metodi pacifici e non certo violenti ma che farà quello che ritiene necessario affinché possa essere abolita o comunque particolarmente riconsiderata questa misura del Green Pass».

Voi come vi definite, un movimento spontaneo? Come siete nati?

«La cosa è nata sicuramente in modo spontaneo da me e da un’altra ragazza di nome Veronica, insieme abbiamo deciso di lanciare questo canale Telegram, che credevamo avesse poco successo, non lo nascondo, e dopodiché però c’è stato un vero e proprio boom di richieste di organizzare sui territori gruppi che si muovessero contro queste misure».

Infatti si dice sia una ‘minoranza’ ma comunque numerosa.

«Sì, una minoranza comunque molto numerosa, in tutta Italia, in 30 città d’Italia, con gruppi attivi che si riuniscono, che partecipano alle mobilitazioni e che ne creano a loro volta, che portano coscienza di questo problema fra gli altri studenti, certo non senza difficoltà, però è una realtà viva che nasce certamente in modo spontaneo ma che adesso va incontro a una nuova fase molto interessante per il suo sviluppo stesso di movimento, che porterà a una maggiore strutturazione, una maggiore capillarizzazione anche sul territorio».

Ci sono anche dei professori che sostengono la causa?

«Eccome, esiste tutta una lista a livello nazionale di professori, talvolta anche vaccinati, se non la maggior parte, quindi nuovamente a sconfessare questa cosa che esista un binomio automatico fra l’essere ‘No vax’, che oltretutto è una categoria che non ci piace utilizzare e ‘No Green Pass’; ci sono molti professori che si sono attivati, che ci aiutano in questa battaglia, che ci danno i mezzi culturali di cui magari potremmo aver bisogno talvolta – ma non credo perché essendo tutti studenti universitari abbiamo una caratura sia morale che culturale di un certo rispetto – che comunque ci affiancano in questa battaglia, che si mettono a disposizione, dai più noti come il professor Barbero ad altri, con una interessante dialettica perché ognuno ha posizioni leggermente differenti però questo fa anche bene al movimento, inteso come qualcosa più in generale, non intendo per forza l’entità stessa del gruppo [sui social, ndr] ‘Studenti contro il Green Pass’».

Quali sono le principali obiezioni che muovete al Green Pass?

«La più lampante per noi è certamente la lesione del diritto allo studio e il fatto che vengano meno quei valori che sono scritti anche nella Magna Charta dell’Università di Bologna, che è stata aggiornata l’anno scorso, in cui si dice che l’università deve essere un luogo di incontro, un luogo di dialogo, un luogo libero, che dia la possibilità a chiunque di esprimere le proprie opinioni, senza ostracismi né tentativi di imporre in modo surrettizio un’ideologia dominante a tutti gli effetti. Quindi la questione della Costituzione è certamente primaria come faro che abbiamo noi come studenti, quindi una mobilitazione che è democratica e costituzionale, e poi allo stesso tempo il fatto che ci sia poco dibattito scientifico sulle questioni, e il fatto che chiaramente anche dagli stessi esponenti del governo o comunque vicini a esso, la misura viene considerata a tutti gli effetti politica; dal momento in cui una misura è politica, perde secondo noi valenza di tipo scientifica e deve essere quindi rivista.

Pensare di tenere degli studenti a casa perché non hanno uno strumento che è politico per noi è sinceramente una discriminazione, certo evitando grandi analogie col passato che non avrebbero a che fare… – mi vengono in mente alcune frasi che vengono citate in modo capzioso nei giornali riguardo a certi periodi storici del nostro Paese o altro che avrebbero detto manifestanti in piazza – ma noi crediamo che comunque sia un momento davvero basso degli ultimi 70 anni della storia repubblicana, perché non si era mai visto prima che non fosse data la possibilità a degli studenti e a delle persone normali con la testa sulle spalle di poter andare in un luogo come l’università, confrontarsi…

Che passi avete intrapreso o volete intraprendere in questa direzione?

«Abbiamo fatto, anzitutto con un messaggio costruttivo e di dialogo che noi vorremmo poi continuare a utilizzare perché crediamo che in questo modo noi siamo dalla parte della ragione, da metà agosto ci siamo attrezzati per scrivere e-mail ai rettori e per dare loro la possibilità di poterci rispondere e di avviare un dialogo. Difficilmente ciò è accaduto, difficilmente ciò sta accadendo e difficilmente ciò accadrà anche in futuro però è stato un nostro primo gesto simbolico. Poi come abbiamo fatto qui a Firenze, che è una delle città più organizzate che abbiamo assieme a Roma o come altre realtà più piccole ma neanche troppo come Bologna e Torino, stiamo portando avanti un lavoro che sia assolutamente pacifico ma che comunque porti un messaggio radicale che è un’altra cosa. Cioè pensare ad esempio che un’occupazione assolutamente temporanea e pacifica come è accaduto a Torino nei giorni scorsi nel Politecnico, possa attirare l’attenzione su di noi e che ci possa dare la possibilità di far vedere quanto noi valiamo.

Ci muoviamo quindi in questo modo; poi è chiaro che ci affianchiamo anche ad altre forze che non sono quelle forze violente di cui parlano i media: certo che sono violente, quelle sono frange che noi come movimento (inteso a livello generale) dobbiamo assolutamente mettere nell’angolo per far capire che non hanno nulla da spartire con noi. Però ci sono tante forze a livello locale che magari non risaltano nei titoli dei giornali e che si impegnano comunque su questioni riguardo allo stato di emergenza, alla segregazione in casa negli scorsi mesi, che talvolta è sembrata una misura un po’ troppo rigida, e collaboriamo quindi anche con queste forze, chiaramente in modo estemporaneo senza pensare a collaborazioni di lungo termine o a matrimoni politici. Un mutuo aiuto affinché si possa compiere questa battaglia insieme, che non è di settore ma di una certa società civile che crede debbano essere ripristinati se non maggiormente tutelati i diritti costituzionali».

Che clima si respira all’università, ci sono incomprensioni o tensioni fra studenti?

«Ci sono delle situazioni complesse soprattutto con i professori, ci è capitato di professori che chiaramente dicono “accampatevi un’altra scusa, perché voi seguite le lezioni a distanza, perché se io so che voi non avete il Green Pass con me l’esame non lo passate, o con me prendete meno voti ecc.”.
È quindi nuovamente una dimostrazione fenomenica del fatto che la situazione obiettivamente è grave, e i rettori che volendo avrebbero l’autorità e la libertà di farlo, devono intervenire affinché queste cose non accadano perché sono sinceramente preoccupanti, spia di allarme di qualcosa che non va, forse dettato tutto da un periodo parecchio complesso che ha anche pesato a livello psicologico sulle persone e che ha fatto sì che si individuasse il nemico nella persona che non ‘tutelasse la sua salute più diretta’. Perché poi anche questa tematica è spesso difficile da comprendere, tutta la questione del bene individuale frapposto al bene comune, talvolta è difficile capire cosa sia il bene comune e cosa sia il bene individuale.

È chiaro quindi che ci sono questo tipo di questioni che non sono facili, neanche a livello psicologico, neanche a livello proprio di relazioni umane fra amici, coetanei, ecc.».

C’è stato anche un caso di un’università che ha chiesto il Green Pass per la Dad e poi ha ritirato la misura?

«Sì, e una piccola parte del merito ce la prendiamo anche noi perché abbiamo alzato parecchio polverone a riguardo, è arrivata una circolare dell’università di Trieste che è sicuramente stata frutto del parecchio clamore mediatico che abbiamo sollevato e i ragazzi hanno fatto un sit-in, hanno fatto in modo di far sentire la loro voce».

 

Intervista rivista per ragioni di brevità e chiarezza

 
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