L’Opera in Italia oggi, un dramma nel melodramma

Di Alessandro Starnoni

Risollevare l’Opera dalla situazione agonizzante in cui versa oggi in Italia è l’obiettivo principale che si propone di raggiungere ‘Belcanto italiano’, progetto didattico internazionale con base a Ravenna, e ideato dai maestri Astrea Amaduzzi, soprano e docente di tecnica vocale e Mattia Peli, direttore d’orchestra, pianista e docente di interpretazione. Le master class sono tenute anche in altre città come Roma, Montepulciano, Brindisi, Varsavia, Lecce e Recanati, quest’ultima proprio la patria del tenore Beniamino Gigli.

Epoch Times ha intervistato Astrea Amaduzzi, soprano e fondatrice di Belcanto italiano, per approfondire il tema dell’Opera al giorno d’oggi nel nostro Paese e come questa antica forma d’arte venga collocata nella cultura della società odierna e dalle scuole o insegnanti di canto attuali.

Perché oggi viene dato così poco spazio all’Opera in Italia? Sembrerebbe, secondo quanto ha riportato recentemente Il Fatto quotidiano citando i dati di Operabase, che all’estero ci siano addirittura più rappresentazioni che nel nostro Paese, a cosa è dovuto questo secondo lei?

Questo è dovuto secondo noi a tre fattori principali. Il primo è una totale mancanza di educazione, alle nuove generazioni, verso la musica classica; basti vedere il pattume che si propone, a livello di cartoni animati, ai bambini e ai ragazzi: è una cosa terrificante, la maggior parte sono violenti e con colonne sonore pop, ma violentissime, parliamo proprio di rock duro. Vai nei supermercati e trovi questo pop-rock duro, qualsiasi cosa tu faccia sei accompagnato, quando ti va bene, dalle musichette di musica leggera italiana degli anni 60-70-80; vengono educati a questo culto violento e tribale, c’è stata proprio un’involuzione da questo punto di vista.

Il secondo motivo è che si è sperperato in lungo e in largo, proprio con manica larga, per quel che riguarda le messe in scena e le regie, per cui l’Opera è diventata bella perché c’era una regia e una messa in scena sfarzosa e faraonica; che poi i cantanti cantassero male non è importato quasi niente a nessuno.

Il terzo motivo è che c’è stato anche un decadimento dal punto di vista tecnico, per cui a un contenuto esecutivo fedele allo spartito e a quanto volevano i compositori, si è passati a una forzatura di tutto quanto concerne l’esecuzione, quindi suoni larghi, grossi e spinti, eliminazione totale e sistematica delle mezze voci, su cui si dovrebbe invece basare il Canto italiano, ed è stato pensato che cantare a mezza voce fosse uguale a cantare piano e avere una voce piccola, il che non è vero; perché anche quando un grande come Corelli raccomandava di non forzare i centri, di non tenerli troppo larghi, anche lo stesso Giacomo Lauri Volpi raccomandava la stessa cosa, vuol dire che avevano i loro motivi. C’è quindi una sistematica distruzione su più fronti della nostra povera Opera italiana.

Tanti mi dicono, “ma non ci sono più le voci di una volta”, non è assolutamente vero; ci sono tante belle voci relegate che non fanno cantare. Io stessa sono relegata e non mi fanno cantare, perché non urlo. Inoltre ovviamente si fanno molti più tagli alla cultura, però sappiamo bene che quando si fanno tagli alla cultura il decadimento di una nazione è veramente molto, molto vicino. Ma è proprio un decadimento che ci porta a livelli di barbarie, perché quando manca l’educazione al sentimento, alla gentilezza e alla grazia, e c’è tutto questo ‘boom boom’ e urli selvaggi, queste voci che sono gridate… E lì si costruisce la propria estetica da fanciulli (perché lì si indirizzano), vuol dire che siamo proprio arrivati alla fine di una cultura civile, con una situazione gravissima.

Quindi c’è poco interessamento da parte dei giovani anche perché l’Opera porta con sé dei valori che sono andati perduti…

Sono andati perduti ma soprattutto in Italia, paradossalmente dove l’Opera è nata è comunque tutto il mondo che ha questa situazione un po’ tesa alla violenza ma vedo che da parte di nazioni estere c’è molto più interessamento; è come se stranamente fossero un pochino più raffinati, evidentemente anche perché li educano al bello, ecco l’educazione al bello manca adesso in Italia, c’è l’educazione al brutto; l’Opera è molto bella ed è stata martirizzata. Inoltre la musica classica ha dei contenuti mentali che sono molto articolati e a questo si contrappone il pop, che invece è semplice, ha il solito giro tonica dominante, i soliti ritmi facili e su quelli è facile seguire un discorso armonico, melodico e ritmico.

Qual è l’obiettivo del vostro progetto a tal proposito?

Noi stiamo cercando di trovare una soluzione in primis con una specie di pronto soccorso per le voci; mi contattano giornalmente molti allievi distrutti che non sanno che cosa fare, che addirittura mi dicono: “quando finisco di cantare la mia mezz’ora o tre quarti d’ora mi brucia la gola, mi fa male la gola”, e questo non va assolutamente bene; quindi noi prendiamo questi maltrattati e gli insegniamo un sistema per non affaticarsi quando si canta, e questo sistema si chiama tecnica, che una volta era all’ordine del giorno e adesso ormai c’è rimasto poco, quasi più nessuno la insegna seriamente.

La tecnica si acquisisce o è innata?

La tecnica si acquisisce sicuramente ma è molto semplice… Addirittura c’è gente che arriva dopo 15 anni di studio distrutta, e io gli dico ma chiedetevi perché nei regi conservatori dall’epoca di Rossini, il corso di canto durava solo 5 anni, o 7; perché molto semplicemente per costruire una buona tecnica vocale basta un anno di studio, e dopo c’è il repertorio e il raffinamento di questa tecnica.
Ma il canto lirico è fatto di quelle poche cose, che devono essere fatte bene: per esempio quasi più nessuno più conosce che cosa sia un passaggio di registro, cosa sia la vera respirazione o cosa significhi proiettare il suono, molti arrivano e mi dicono che non gliel’hanno spiegato, e addirittura questi insegnanti dicono che non esistono i passaggi di registro; ecco, perché si rifiuta il cambiamento di timbro quando si va sugli acuti; per i tenori ad esempio, la moda ormai impone una voce sempre scura, stentorea, mentre invece il tenore dopo il Fa# più o meno, ha il cosiddetto passaggio di registro alla voce di testa, che è più chiara, più brillante e più piccola, ma essendo più squillante è molto più penetrante, quindi loro invece fanno un suono largo e grosso anche nella voce di testa e affondano questi suoni in modo triviale direi.

Io dico sempre che non è il repertorio che fa la voce, ma è la voce che fa il repertorio, cioè ogni voce ha il suo repertorio. Mi arrivano tenori lirici, strettamente lirici, che mi cantano l’aria di Tosca di Cavaradossi come si canterebbe Cavalleria Rusticana ma spingendo, e poi mi dicono “io ho finito di cantare e mi sento affaticato” e io dico: certo, se canti tutto così!
Non si può, insomma: bisogna lavorare sodo per combattere questa mancanza di civiltà al bello, e bisogna combattere sodo anche per far capire a questi studenti che usare la mezza voce non vuol dire essere un mezzo cantante o che alleggerire non vuol dire diventare tenore leggero o soprano leggero ma semplicemente usare in modo più cosciente il proprio strumento e con una tecnica superlativa.
Ad esempio Aureliano Pertile non era un tenore leggero ma usava la mezza voce, esattamente come Gigli che era un tenore lirico, esattamente come Volpi che era un tenore più spinto, esattamente come tanti soprani eccelsi che hanno usato la mezza voce senza per questo avere delle voci piccole, quindi usare una tecnica più raffinata non significa essere dei mezzi cantanti, ma piuttosto essere dei cantanti eccezionali.

La mezza voce è un’esigenza normale… Cantare come si parla vuol dire questo, le opere son scritte tutte a mezza voce, ogni tanto c’è un crescendo, un forte, un fortissimo, un diminuendo, un piano e un pianissimo. Ma la base, la tavolozza principale del colore di un’opera, è la mezza voce: quando si parla non è che si urla, si parla in modo normale, questa è la mezza voce.

Per riaccendere la passione per l’opera nei giovani cosa si potrebbe fare a livello pratico?

Dar loro sicuramente più opportunità, questo è indubbio, ed è una cosa che si potrebbe fare anche a livello locale. Io vedo tanti ragazzi che si accendono di gioia quando per esempio proponi loro di lavorare a delle opere intere, ed è una cosa che noi abbiamo iniziato a fare. Quindi forse dovrebbero esserci anche un pochino più di appoggi istituzionali, ma a livello elementare, semplicemente concedendo un po’ di più l’uso dei luoghi, perché fin quando si tengono chiusi a chiave i teatri perché non si può cantare o perché ci vogliono i pompieri, e le norme, e l’antincendio, maniglie anti-panico e tutte queste cose qui, oltre al costo perché aprire un teatro deve costare centinaia o addirittura migliaia di euro al giorno… Secondo me è una follia.
Nel ‘700 non costava così tanto aprire un teatro: un teatro è un teatro; le uniche spese che si possono avere quando non hai il riscaldamento forse è un po’ di luce?… Ma mi sembra una cosa folle, quindi ci sono degli interessi economici fortissimi da parte soprattutto delle gestioni di queste cooperative, che hanno in pugno questi teatri e che ti chiedono queste cifre esorbitanti per accendere un interruttore. Però per il pop non succedono queste cose, quindi è come se fosse una manovra occulta proprio per distruggere il teatro dell’Opera.
Noi ci siamo stancati, e ci stiamo opponendo con Belcanto Italiano.


Intervista adattata alla forma giornalistica per ragioni di brevità e chiarezza

 

 
Articoli correlati