Prelievo forzato di organi, un crimine tutto made in China

David T. Jones è un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti che ha pubblicato diverse centinaia di libri, articoli e recensioni sulle questioni bilaterali Stati Uniti-Canada e sulla politica estera in generale. Nel corso della sua carriera di oltre 30 anni, si è concentrato su questioni politico-militari, ed è stato consulente per due capi di Stato Maggiore dell’Esercito Usa.

 

Nell’estate del 2006, quando sono andato a trovare insieme a mia moglie il nostro amico David Kilgour, a Ottawa, siamo venuti a conoscenza della raccolta di organi (provenienti da vittime innocenti, uccise durante per il prelievo). Kilgour e i suoi colleghi hanno raccolto prove di questo abuso perpetrato dai funzionari comunisti cinesi, le cui principali vittime risultano essere i praticanti del Falun Gong.

Il rapporto sull’abuso è stato sconcertante, e a una prima lettura ha provocato po’ di scetticismo, perché può sembrare la pubblicità per una fiction horror fantascientifica su operazioni di esperti chirurghi, che devono aver abiurato il loro giuramento di Ippocrate.

Ma essendo dotato di un certo supporto editoriale medico specialistico, in ogni caso, era stato convincente: stava davvero accadendo qualcosa di orrendo, organizzato e diretto dai leader cinesi incapaci di addurre come scusante la loro l’ignoranza sui fatti. La logica non lascia scampo: i trapianti eseguiti erano troppi per provenire solo da prigionieri giustiziati o da famiglie che hanno donato gli organi dei loro famigliari morti cerebralmente.

La prova di questo terribile abuso è stata (e rimane) circostanziale, e le prove tangibili sono sfuggenti. Ed è piuttosto improbabile che una vittima del Falun Gong torni in vita per far luce sulle lacune del prelievo degli organi da persone vive.

Kilgour e i suoi colleghi hanno fornito un prezioso servizio alla giustizia nel portare all’attenzione globale il prelievo forzato di organi e la complicità di funzionari comunisti cinesi. L’abuso è stato e continua ad essere un problema identificato dalle indagini delle relazioni annuali del Dipartimento di Stato americano dei diritti umani.

Nemmeno le autorità di Pechino potrebbero negare tutto questo con leggerezza, e i praticanti del Falun Gong uccisi sono stati la fonte più probabile di questi organi.
Ovviamente, hanno negato. Ma sono bastati l’attenzione globale e l’imbarazzo conseguente a spingere i leader comunisti ad agire, vietando il trapianto di organi per gli stranieri e dichiarando di aver smesso di utilizzare gli organi da prigionieri giustiziati.

C’è poi stata una bufera giornalistica che chiedeva le riforme. Inoltre, a seguito di una conferenza internazionale sul trapianto d’organi che si è tenuta a Hong Kong nel mese di luglio, i funzionari di Pechino hanno affermato che l’attuale sistema del trapianto d’organi cinese ha ricevuto l’approvazione a livello internazionale. Affermazione però respinta senza mezzi termini da osservatori imparziali, i quali sostengono che il numero dei trapianti annuali in Cina sia considerevolmente superiore a quello dichiarato dalle autorità cinesi (60/100 mila contro 10 mila).

In ogni caso nemmeno le blande stime dichiarate dai funzionari della Repubblica popolare cinese possono essere prese per oro colato, considerando i precedenti di Pechino di menzogne istituzionalizzate. E soprattutto, non vi è alcuna trasparenza nel sistema dei trapianti cinese che permetta di indagare e/o confermare le affermazioni di Pechino.

Tuttavia, l’essenza della questione resta desolante: possiamo affermare che l’abuso esiste. Molte migliaia di praticanti del Falun Gong, uiguri, tibetani, e cristiani indipendenti sono stati uccisi per i loro organi. Si tratta di un abuso non vasto come l’Olocausto, ma certamente inaccettabile nelle relazioni estere del 21esimo secolo. E deve finire.

Gli approcci potenzialmente più efficaci – anche se in passato sono stati frustranti – continuano a essere le intense discussioni a porte chiuse con le massime autorità della Repubblica Popolare Cinese.
Iniziative coordinate e ripetute da parte degli Stati interessati sono già state impiegate per altre tematiche. La Cina è una società che funziona ‘dall’alto’; il cambiamento arriva per decreto del governo centrale, non attraverso la persuasione da parte dei cittadini. Rendere pubblici nomi e colpe serve più a sollecitare impegnati difensori di cause impossibili da difendere, oppure a ottenere flebili smentite.

Sarebbe più efficace collegare singoli aguzzini a specifici casi di assassinii a scopo trapianto (e alle relative tangenti che li favoriscono). Il presidente Xi Jinping fa dello sradicare la corruzione una questione personale. Gli assassinii per ottenere organi destinati alla vendita sono un argomento fatto su misura per Xi. Sarebbe sia popolare che giustificato, soprattutto perché i ricconi cinesi possono beneficiarne ora.

Si potrebbe immaginare un mercato mondiale degli organi che aiutasse a risolvere la carenza di organi. In un mercato azionario, i potenziali donatori (o le famiglie di chi sta per morire) sarebbero incluse nelle liste insieme con le indicazioni dell’organo e dei prezzi previsti. I volontari dovrebbero essere attentamente controllati per assicurare oneste relazioni acquirente/venditore.
Oppure, la risposta potrebbe risiedere nella clonazione, organi coltivati biologicamente, ma è improbabile che siano disponibili prima di 50 anni, mentre i trapianti, momentaneamente, sono la risposta.


Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

Articolo in inglese: Organ Harvesting: The Abuse Continues

Traduzione di Massimo Marcon

 
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