Cina sfrutta attacchi di Parigi per promuovere la persecuzione degli Uiguri

Dopo gli attacchi terroristici di Parigi, il regime comunista cinese non ha perso tempo: ha chiesto al mondo aiuto nella repressione della minoranza uigura nella regione dello Xinjiang, nel tentativo di ottenere sostegno alla propria idea ingannevole di ‘antiterrorismo’. 

Attualmente il regime comunista cinese sta intensificando la sua soppressione nello Xinjiang (chiamato anche Turkestan Orientale), principalmente per motivi economici: la sua nuova ‘Cintura economica della Via della Seta’, che inaugurerà una nuova rotta commerciale verso l’Europa, passa infatti proprio attraverso questa regione. 

Dopo gli attentati di Parigi, Xinhua, media portavoce ufficiale della Cina, ha citato le affermazioni mendaci del diplomatico cinese Wang Yi: «La Cina è anch’essa vittima del terrorismo», e «il giro di vite alle forze terroristiche ‘del Turkestan orientale’» dovrebbe diventare «una componente importante dell’antiterrorismo internazionale». Nonostante queste dichiarazioni siano state in gran parte ignorate dai politici, che generalmente sono a conoscenza degli abusi perpetrati dal Partito Comunista cinese (Pcc) sugli uiguri, alcune agenzie mediatiche sono cadute vittime della propaganda, senza ruiscire a distinguere il vero dal falso. 

L’esempio più lampante è l’articolo di Time ‘Men and Women Who Fight China’s Shadowy ‘Anti-Terrorist’ War’ [Uomini e donne che combattono la guerra dell’ ‘antiterrorismo’ confuso della Cina, ndt]. Lo strano articolo ha affermato che dopo gli attentati di Parigi, i membri delle forze speciali del Pcc hanno raccontato al Time le «loro battaglie» e poi hanno iniziato a scrivere di questo sui social media. Sebbene abbia fatto notare alcune incertezze relative a certi incidenti, l’articolo di Time ha l’effetto di promuovere le violazioni dei diritti umani.

Esattamente come un articolo di Xinhua, che ha sostenuto che la polizia nello Xinjiang ha arrestato un gruppo di 28 presunti terroristi i quali hanno riferito di aver ucciso 11 persone in una miniera di carbone – l’articolo di Time contiene queste stesse informazioni. L’articolo di Xinhua sembra essere un pezzo di propaganda, considerato che le forze di polizia e l’esercito cinese dell’anti-terrorismo posano assieme, in una foto quasi ‘seducente’. 

Time ha condiviso anche molte citazioni, che suonano eroiche, di persone che effettuano la dura repressione del Pcc nello Xinjiang. Tra di loro c’è un sedicente membro delle forze di polizia cinesi ‘anti-terrorismo’, che ha scritto sui social di combattere «i radicali religiosi e i separatisti che stanno cercando di allontanare gli uiguri dal popolo Han». Il presunto poliziotto ha aggiunto che «alcune forze straniere, oltre alle fondamenta turche e americane della democrazia, stanno sostenendo anche i radicali e i separatisti». Benché le informazioni possano sembrare in apparenza convincenti, facendo un po’ di ricerca si scopre cosa si nasconde dietro di esse.

Il Partito Comunista cinese definisce l’estremismo, il separatismo e il terrorismo come i «tre mali». Nonostante la lotta al terrorismo possa sembrare un bene per gli Occidentali, le differenze semantiche imposte dal Pcc, provocano forti conseguenze. La campagna del Pcc non intende combattere il terrorismo: piuttosto è stata pianificata affinché gli elementi terroristici, ossia destabilizzanti, non si radichino nello Xinjiang. L’espressione i ‘tre mali’ etichetta il desiderio d’indipendenza culturale come ‘separatismo’, e definisce tutte le forme di resistenza come ‘estremismo’ e ‘terrorismo’. In generale, i leader occidentali non hanno riconosciuto gli incidenti che coinvolgono gli Uiguri come attacchi terroristici. 

Secondo il rapporto annuale 2015 della Commissione di Revisione economica e sulla Sicurezza Usa-Cina, la campagna del Pcc contro i ‘tre mali’ si è «manifestata con un apparato di sicurezza severo e ha portato all’adozione di un approccio repressivo all’Islam nello Xinjiang». 

Il rapporto ha parlato di differenze culturali e politiche. «Esattamente come in Tibet, molti residenti dello Xinjiang non si identificano culturalmente o politicamente con la Cina, e alcuni gruppi uiguri sono a favore di una maggiore autonomia o della piena indipendenza dello Xinjiang – si legge, notando che il Pcc – vede l’esistenza di questi gruppi come una minaccia alla sovranità e alla sicurezza della Cina». La soluzione del Pcc su questa questione è stata la politica d’integrazione, ma come afferma il rapporto «le politiche d’integrazione cinesi nello Xinjiang sono spesso violentemente repressive, hanno causato l’ostilità degli Uiguri e hanno alimentato tensioni etniche».

Il rapporto afferma anche che lo Xinjiang è patria di 21,8 milioni di persone e 13 grandi gruppi etnici; si stima che circa il 46 per cento della popolazione sia Uigura e l’islam sunnita è la religione principale. 

Secondo Human Rights Watch, il Pcc ha usato «nei confronti degli Uiguri dello Xinjiang un sistema di sorveglianza a più livelli, di controllo e di soppressione di attività religiosa». Inoltre, l’organizzazione non governativa in difesa per i diritti umani ha parlato anche di pratiche estreme, come la tortura e la pena di morte: «Arrivando all’estremo, gli attivisti pacifici che praticano la loro religione in maniera ritenuta inaccettabile da parte delle autorità statali o dai funzionari del Pcc vengono arrestati, torturati e a volte giustiziati», inoltre è normale che «molti uiguri subiscano molestie nella loro vita quotidiana». 

Human Rights Watch ha aggiunto che «il governo cinese ha istituito controlli su chi sia un religioso, quale versione del Corano utilizzi, dove si tengano le riunioni religiose e quello che si dice nei momenti religiosi». Negli ultimi anni il Pcc ha anche vietato agli islamici di portare lunghe barbe e veli, ha proibito loro di celebrare il Ramadan e a una volta ha anche organizzato una festa della birra in una città musulmana, in contrasto alla loro usanza di non bere alcolici. 

La dura repressione del Pcc nella regione ha anche provocato numerose proteste e rivolte. La più evidente è avvenuta nel 2009 a Urumqi, la capitale dello Xinjiang, dove la polizia cinese aveva risposto ai disordini con proiettili veri. Fonti del Pcc sostengono che 197 persone siano state uccise, mentre il Congresso Mondiale degli Uiguri ritiene che il bilancio delle vittime sia stato vicino a 600. 

Anche nel 2013 e nel 2014 si sono verificati scontri simili. Il rapporto del Congresso Mondiale degli Uiguri ha affermato che «la Cina si riferisce sempre agli incidenti come ad ‘atti di terrorismo’. Alcuni lo sono senza dubbio, ma in molti casi per chi vive al di fuori è quasi impossibile valutare la veridicità dei resoconti del governo cinese su questi incidenti ‘terroristici’; e probabilmente il Governo gonfia la minaccia dei ‘tre mali’ per giustificare la repressione».

Il rapporto ha citato anche il pensiero sul ‘terrorismo’ di Andrew Small, trasatlantic fellow alla German Marshall Fund degli Stati Uniti (un’organizzazione no-profit che si impegna a rafforzare la cooperazione trasatlantica nel rispetto del piano Marshall), dando la sua opinione sul ‘terrorismo’ nello Xinjiang.

Small ha dichiarato che il Pcc «tende ad attribuire quasi qualsiasi atto di violenza nello Xinjiang ai ‘separatisti’, sostenendo che esista un intento malevolo anche nelle proteste più tranquille, e tende a criminalizzare i gruppi politici». Secondo Small questo «rende perennemente confusa la linea di demarcazione tra il terrorista, l’attivista e la cittadinanza lesa». 

Articolo parte della newsletter di Epoch Times Usa sulla Cina. Articolo in inglese: ‘CHINA SECURITY: China Uses Paris Attacks to Promote Persecution of Uyghurs

 
Articoli correlati