Giornata mondiale della Falun Dafa, contro l’incubo della persecuzione

Di Alessandro Starnoni

WASHINGTON — In uno spettacolo che si rinnova ogni anno, nel giardino del National Mall di Washington, una schiera di persone in magliette gialle muove le braccia all’unisono, o rimane immobile in meditazione. Sono i praticanti della disciplina spirituale della Falun Dafa, che in occasione della giornata mondiale dedicata alla disciplina (il 13 maggio) hanno attirato per una giornata l’attenzione degli abitanti di Washington, tra danza classica cinese, canto, lettura di poesie, danza del drago e l’esibizione di una banda. Sul marciapiede che circonda il parco, poi, dei cartelloni con immagini e scritte, hanno informato i passanti sulla crudele persecuzione che il Partito Comunista Cinese perpetra da vent’anni contro il praticanti di questa pacifica via spirituale.

(Samira Bouaou/The Epoch Times)

Nella cultura tradizionale cinese, la Falun Dafa sarebbe definita una pratica di coltivazione. Nello specifico, chi vi aderisce si impegna a coltivare la propria mente, il proprio corpo e il proprio spirito mediante cinque esercizi e l’applicazione nella propria vita dei principi di verità, compassione e tolleranza. L’insegnamento della disciplina è stato tramandato di maestro in discepolo per millenni in Cina fino al 1992, quando l’attuale maestro – Li Hongzhi – l’ha reso pubblico per la prima volta nella città di Changchun, nel nordest della Cina, il 13 maggio del 1992.

Epoch Times ha intervistato alcuni praticanti della Falun Dafa a Washington per saperne di più. In particolare, la storia di Liu Dexi è emblematica di quella di numerosi altri praticanti: dai benefici riscontrati nell’ambito della salute e delle relazioni, allo scoppio della persecuzione in Cina, fino all’espatrio negli Usa.

SENSIBILIZZAZIONE

Per i praticanti della Falun Dafa il 13 maggio non è solo un giorno di festa, ma anche di lutto, e di azione; i praticanti infatti ricordano le vittime della persecuzione e lavorano continuamente perché queste atrocità siano note al mondo.

Liu Dexi, tra i praticanti presenti a Washington, è stato perseguitato in Cina ed è arrivato negli Usa il 7 dicembre 2017. In Cina, gestiva un piccolo negozio che vendeva cinture; ha cominciato a praticare la Falun Dafa a settembre del 1998. Grazie alla pratica, racconta, ha superato la propria irascibilità ed è diventato molto più onesto, nel fare affari.

(Samira Bouaou/The Epoch Times)

A volte, racconta, i venditori all’ingrosso lo pagavano per sbaglio anche 500 euro in più (cifra considerevole, se si conta che il salario urbano medio in Cina nel 2016 è stato di 7 mila 261 euro l’anno) ma lui, da bravo praticante della Falun Dafa, sceglieva sempre di restituire loro il denaro. E questo – ammette – è un qualcosa che prima non avrebbe mai fatto.

(Samira Bouaou/The Epoch Times)

I suoi concorrenti – racconta inoltre – vendevano anche finte cinte di pelle spacciandole per vera pelle. Liu, invece, specificava quali cinte fossero di vera pelle e quali no, attribuendo il giusto prezzo a ognuna, e permettendo anche ai clienti insoddisfatti di restituire le proprie cinte. Tutte cose che, in Cina, sono estremamente rare. Tanto che tre mesi dopo aver cominciato a praticare, sua moglie, vedendolo cambiato, ha scelto di studiare anche lei la Falun Dafa, insieme alla figlia.

Ma il 20 luglio 1999, il regime cinese ha scatenato la sua violenza sui praticanti, Liu compreso. La stampa e la televisione hanno inondato la nazione con una martellante propaganda, e centinaia di migliaia di praticanti sono stati messi sotto detenzione, anche in luoghi improvvisati come stadi sportivi.
In una lettera inviata dall’allora leader assoluto Jiang Zemin al Politburo del Pcc il 25 aprile 1999, la Falun Dafa viene presentata come una minaccia ideologica al comunismo: Jiang esprimeva infatti il timore che il popolo cinese avrebbe preferito la ‘verità compassione tolleranza’ della disciplina spirituale (praticata allora da circa 100 milioni di cinesi) alla dittatura del comunismo. Tutto questo nonostante i praticanti di questa disciplina si siano sempre considerati e dichiarati del tutto apolitici.

Jiang scriveva nella lettera: «Dobbiamo proseguire con l’educare funzionari e cittadini a una corretta visione del mondo, della vita e dei valori. Potrà forse il marxismo, il materialismo e l’ateismo che i membri del nostro partito comunista sostengono, perdere la battaglia contro quello che promuove il Falun Gong? Sarebbe assolutamente ridicolo!».

CRONACA DI UNA PERSECUZIONE

All’inizio, quando i media cinesi hanno messo in atto la campagna di propaganda, Liu Dexi e sua moglie (come gran parte dei 70 milioni di praticanti della Falun Dafa in tutta la Cina) pensano si tratti di un malinteso. Assieme alla figlia, ancora bambina, vanno in Piazza Tiananmen per appellarsi alle autorità statali, ma vengono arrestati e rispediti nella loro città natale. Lì, Liu è trattenuto per 21 giorni in prigione ed è multato per 30 mila yuan (4 mila euro); la moglie passa sette giorni in cella.

(Samira Bouaou/The Epoch Times)

Ormai nel pieno di questa feroce persecuzione, Liu ‘ci riprova’ a gennaio del 2002, sempre in Piazza Tiananmen, dove lui e un’altra persona reggono uno striscione. Vengono picchiati dalla polizia: pugni e calci in testa mentre sono a terra indifesi. E, di nuovo, Liu è mandato nella sua città, in prigione.

Ma, sapendo di essere nel giusto e volendo rispondere solo con mezzi non violenti, quando Liu è scarcerato subito scrive ai vari uffici della Pubblica Sicurezza cinese, spiegando perché una persecuzione del genere sia semplicemente ingiustificata. Questa volta gli tocca una condanna ancora più pesante: 10 anni in un campo di lavoro forzato, dove è anche sottoposto a torture di ogni genere. Dalla deprivazione del sonno (7 giorni e 8 notti) alle torture fisiche: sui polsi ha ancora le cicatrici di quando è stato appeso a un soffitto con delle manette, mentre su un occhio porta ancora la cicatrice di uno dei tanti pestaggi subiti. È stato rilasciato dopo sette anni e otto mesi, ma subito dopo è stato condannato di nuovo a due anni.

In seguito, come molti altri cittadini cinesi, ha presentato alla magistratura una denuncia contro Jiang Zemin (attualmente ritirato a vita privata), con l’accusa di genocidio e altri crimini contro l’umanità. Questa volta gli sono toccati solo 15 giorni di galera.

Sorprendentemente, Liu Dexi riesce a uscire da questo inferno, e a partire per gli Stati Uniti, dove vive tuttora con moglie e figlia: «Mi sento davvero onorato di celebrare la Giornata della Dafa fuori dalla Cina – dice Liu tradendo dell’emozione nella voce – Non so come esprimere quello che sento. È davvero bello, fantastico!».

Liu è comprensibilmente felice. Ora che vive in un Paese libero può finalmente dire quello che sente senza paura: «A chiunque incontro, spiego la verità sulla Dafa».

(Samira Bouaou/The Epoch Times)

 

Articolo in inglese: World Falun Dafa Day: A Celebration Still Shadowed by Persecution

Traduzione di Vincenzo Cassano

 
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