Conferenza sul clima, a Pechino tira una pessima aria

Se la delegazione cinese avesse voluto richiamare l’attenzione della conferenza internazionale sul clima a Parigi su pericoli dell’inquinamento atmosferico incontrollato, le sarebbe bastato solo puntare il dito verso Pechino.

Quando la conferenza, chiamata COP21, è iniziata lunedì 30 novembre, la capitale della Cina è stata colpita da una densa nuvola di smog contenente oltre 20 volte le sostanze indicate come nocive dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Lo smog, che ha avuto inizio lo scorso fine settimana, ha visto i residenti di Pechino inondare gli ospedali in preda a disturbi respiratori, mentre nelle strade la visibilità era così bassa che i caratteristici edifici della capitale sono semplicemente svaniti nell’acre e grigia coltre.

In risposta, il 29 novembre le autorità di Pechino hanno emesso un avviso di inquinamento ‘arancione’, il secondo livello più alto, consigliando ai 22,5 milioni di cittadini di rimanere a casa, e chiudendo alcune sezioni di autostrade; secondo il China Daily, il 29 oltre 2100 aziende inquinanti e tutti i cantieri della città sono stati costretti a fermarsi. Solo nelle prime ore di mercoledì 2 dicembre, secondo quanto dichiarato dall’ambasciata degli Stati Uniti, i valori sono ritornati al di sotto delle soglie di allarme.

La risposta delle autorità di Pechino è apparsa pronta, e sembra aver dato una certa credibilità alla delegazione del regime cinese in relazione agli obiettivi del COP21 di taglio delle emissioni di gas serra entro il 2030. Ma quello che è successo, è diventato negli ultimi anni un episodio ricorrente: pesante inquinamento, blocchi drastici alle industrie più inquinanti, cielo azzurro solo nei rari momenti in cui la grigia coltre di smog concede una tregua. E non si vedono ancora segnali che il regime abbia una volontà di passare dagli interventi-tampone di emergenza a delle reali soluzioni strutturali di lungo termine. I cittadini di Pechino si lamentano frustrati per lo smog soffocante e per il fatto che le autorità non siano intervenute per tempo.

‘IL PEGGIOR GIORNO’

«È il peggior giorno dell’anno», si è sfogata Liu Feife,  36enne, madre e dipendente di una società del settore internet, parlando ad Associated Press. «Ho la gola completamente congestionata dal catarro e sento un forte prurito. Ma sono ancora più preoccupata per la salute di mio figlio di 7 anni».

Lo smog è un rischio grave per la salute, anche perché contiene le minuscole particelle cancerogene PM2-5. Il 30 novembre, i livelli di PM2.5 hanno raggiunto più di 600 microgrammi al metro cubo in diverse zone di Pechino, e fino ai 900 mg in alcuni quartieri della periferia. Per dare un’idea della gravità, l’Oms ritiene malsana una qualsiasi esposizione superiore ai 25 mg al metro cubo protratta per un periodo di 24 ore. Il Ministero della Protezione Ambientale cinese ha dichiarato che la superficie totale dell’area colpita era di 530 mila km quadrati.

La concentrazione di polveri cancerogene aveva già superato la soglia di allarme di 300 mg dal 27 novembre, è perciò comprensibile che i cittadini siano infuriati con le autorità, che hanno posto una soglia così alta per dichiarare uno stato di allerta: valori oltre i 300 mg per tre giorni consecutivi, nei quali si sarebbe potuto limitare il numero di auto in circolazione imponendo le targhe alterne.

Lo smog della scorsa fine settimana però non era limitato solo a Pechino: anche i residenti della città costiera di Shanghai, nella provincia orientale dello Shandong, e dell’entroterra dello Shanxi hanno denunciato queste condizioni d’inquinamento sui social network: alcuni abitanti di Shanghai hanno scritto che a braccia distese non riuscivano nemmeno a vedere le proprie mani.

APEC BLU

Sul sito di microblogging cinese Sina Weibo, l’account delle Nazioni Unite ha postato un’immagine di Pechino avvolta da una coltre grigiastra di smog, con la didascalia: «Oggi a Pechino… Il vertice di Parigi sul clima sta iniziando, quali sono le vostre aspettative?»

Diversi utenti di Weibo hanno replicato dicendo che la sede dei colloqui sul clima dovrebbe essere spostata a Pechino, perché solo così il cielo diventa sereno a Pechino: ogni volta che un evento importante si svolge a Pechino – basti pensare alla gigante parata militare di settembre, agli incontri Apec o alle Olimpiadi del 2008 – il cielo azzurro regna sovrano, dopo che le autorità hanno bloccato le fabbriche e le centrali a carbone e limitato strettamente il numero di auto per le strade. Ma una volta che le misure di blocco dell’inquinamento vengono eliminate, l’«Apec Blu» si ritrasforma subito in una foschia maleodorante.

Oltre alle industrie inquinanti, le autorità cinesi collegano il recente attacco di smog all’inquinamento prodotto dagli impianti di riscaldamento che i cittadini cinesi stanno usando a pieno regime per via dell’inverno. In ogni caso, le autorità cinesi non sempre ricorrono a delle misure draconiane per ridurre l’inquinamento, anche perché non sono disposte a sostenerne i costi economici.

Durante il vertice COP21, la Cina ha proposto di tagliare entro il 2030 le emissioni per unità di PIL del 60-65 per cento rispetto ai livelli del 2005. Un obiettivo piuttosto modesto, secondo un’analisi del Bloomberg e del Lawrence Berkeley National Laboratory del governo americano: non si riuscirebbero nemmeno a scalfire le previsioni di riscaldamento globale risultanti da diversi modelli computerizzati. Come se non bastasse, di recente, la Cina ha ammesso di bruciare il 17 per cento in più rispetto a quanto precedentemente stimato: un errore di arrotondamento pari alla quantità di emissioni che la Germania produce in un anno.

‘MORIRE NELLO SMOG’

La Cina è il principale produttore mondiale di gas serra. Il carbone viene ancora utilizzato per fornire circa il 65 per cento del fabbisogno energetico del Paese, e nel 2013 sono state emesse circa 11 miliardi di tonnellate di gas serra, rispetto ai 5,8 miliardi dell’America, il secondo peggior inquinatore secondo i dati della Banca Mondiale. La Cina rappresenta quasi il 30 per cento dell’inquinamento mondiale.

Il regime cinese è arrivato ad accettare lo smog come qualcosa di normale. Sul suo account twitter ufficiale, infatti, il quotidiano affiliato al regime People’s Daily, ha pubblicato le immagini di un’«ariapocalisse»: il 30 novembre ha pubblicato la foto di un utente cinese che mostra come un dispositivo di misurazione della qualità dell’aria misuri il PM2.5 a 2.242, una cifra superiore di quasi 100 volte rispetto al limite ritenuto sopportabile per la salute. Il sito web statale The Paper ha paragonato queste condizioni di inquinamento alle scene celesti raffigurate negli adattamenti televisivi dell’epica cinese ‘Viaggio in Occidente’.

Li Chunyuan, vice ministro della Protezione Ambientale Langfang nella provincia di Hebei, ha persino scritto una serie di romanzi (diventata best-seller) a tema ambientale. Il secondo e ultimo libro s’intitola ‘Morire nello smog’. Li sostiene che i suoi scritti siano una «propaganda positiva», volta a ispirare le persone a prendere delle misure per combattere l’inquinamento.

Ma i cittadini comuni cinesi sono meno ottimisti: «Il governo dovrebbe affrontare l’inquinamento, quindi aspettiamo di vederne gli sviluppi. Se nel giro di qualche anno la situazione non cambia, prenderemo in considerazione il fatto di lasciare [il Paese]», ha dichiarato ad Associated Press la pechinese Yin Lina. Anche Yin ha dovuto portare sua figlia – una bambina  di 5 anni – all’ospedale per problemi di respirazione e di occlusione del naso.

 

Articolo in inglese: ‘During Paris Climate Talks, Smog Smothers Beijing

 
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