Il Metodo Ruffini può rivoluzionare la dermatologia?

Da diversi anni, il dottor Gilberto Ruffini sostiene di poter curare con l’ipoclorito di sodio un centinaio di patologie, tra cui dermatiti, acne, ustioni, verruche e psoriasi. Ma numerosi medici sono scettici, al punto che alcuni definiscono il metodo Ruffini un ‘curare con la candeggina’.

Per comprendere quindi in che cosa consista questo metodo, il suo campo di applicazione e come sia stato scoperto, Epoch Times ha intervistato Paolo Ruffini, figlio di Gilberto Ruffini, creatore dell’omonimo metodo. Da diversi anni Paolo sta divulgando l’opera del padre, che dal 1989 è affetto da sclerosi multipla.

Che cos’è il metodo Ruffini?

Il Metodo Ruffini ideato dal dottor Gilberto Ruffini, medico chirurgo, ematologo e dentista di Varese, è un trattamento dermatologico a uso topico [si applica direttamente sulla parte malata, ndr] di ipoclorito di sodio (NaOCl), tra il 6 e il 12 per cento. Le patologie dermatologiche trattabili sono tutte quelle manifestazioni la cui eziologia [la causa della malattia, ndr] è virale, micotica, batterica, protozoaria [che interessa i protozoi, organismi unicellulari che vivono in ambienti umidi come acqua di mare, dolce o salmastra oppure in terreni umidi, ndr] o parassitaria nonché utilizzi d’emergenza (tipo ustioni, ferite, punture d’insetti). I principali ambiti della medicina a cui si rivolge sono la dermatologia, la ginecologia, la chirurgia, l’urologia, l’oculistica e la veterinaria. Questa molecola è uno strumento possibile a tutti in materia sanitaria, essendo una molecola che si può ottenere a bassissimo prezzo in quantità illimitata, con risultati così eclatanti da lasciare sbalorditi e renderlo utile.         
Il Metodo Ruffini si è dimostrato sempre di più uno strumento utilissimo in un’ampia gamma di patologie dermatologiche e, trattandosi di un metodo semplice, di pratico utilizzo, privo di effetti collaterali e a basso costo, ne derivano diversi vantaggi di utilità sociale: innanzitutto, questo metodo può rivelarsi una freccia in più nell’arsenale terapeutico del medico, importante sia da solo che come coadiuvante di una qualsiasi altra cura; un altro vantaggio consiste nella riduzione del rischio di dover troppo frequentemente far ricorso ad antibiotici di sintesi, per esempio limitandone l’uso ai casi più gravi o per infezioni interne, al fine di arginare il fenomeno delle resistenze di cui si è ampiamente trattato; ultimo, ma non da meno, il vantaggio economico.

Quando è nato questo metodo e in quali circostanze?

Il dottor Gilberto Ruffini scoprì le potenzialità della molecola nel 1991, durante il suo lavoro di medico dentista su una paziente affetta da afte. Una goccia di ipoclorito di sodio (che già serve in odontoiatria per la disinfezione di canali radicolari dei denti) cadde accidentalmente su un’afta e il medico vide subito una reazione e un netto miglioramento. Da questa scoperta accidentale iniziò la sua ricerca, variando le concentrazioni e provando su casi clinici differenti. Così, nel 1996 arrivò al brevetto del Metodo Ruffini, trattamento dermatologico a uso topico di ipoclorito di sodio tra il 6 e il 12 per cento, valido per oltre un centinaio di patologie, il cui elenco definitivo è presente nel manuale ufficiale auto-pubblicato nei giorni scorsi, scritto da me e dal dottor Ruffini. 

Quante persone ha trattato dalla sua nascita fino a oggi?

Dal 1991 a oggi i casi clinici trattati positivamente sono non meno di 4 mila. Le testimonianze firmate (provenienti da e-mail, messaggi privati, social network, forum) sono circa un migliaio e sono molte le manifestazioni di affetto e di ringraziamento. Il principale veicolo di diffusione è il passaparola. 

Che tipo di patologie avevano?

Le patologie di cui soffrivano le oltre 4 mila persone trattate in questi ultimi 25 anni sono state moltissime. Il Metodo Ruffini abbraccia una vastissima quantità di patologie dermatologiche, in ambito umano e veterinario. Le principali trattate con successo sono l’Herpes 1,2,3 – HPV – con solo presenza virale senza lesioni Cin [Neoplasia intrapiteliale cervicale, conseguenza dell’infezione virale da Hpv, ndr], l’Mrsa (Staphylococcus aureus resistente alla meticillina), piede diabetico infetto (non ischemico), onicomicosi, tinee, disidrosi, psoriasi, dermatiti, punture d’insetti, ustioni (principalmente di primo e secondo grado), afte e verruche. 

I detrattori del Metodo Ruffini lo equiparano al ‘curare con la candeggina’. Può spiegare le differenze sostanziali tra l’ipoclorito presente nella candeggina e nel Metodo Ruffini?

Il Metodo Ruffini utilizza solo ipoclorito di sodio in percentuali che vanno dal 6 al 12-14 per cento. La candeggina nella migliore delle ipotesi utilizza ipoclorito di sodio con valore inferiore al cinque per cento quando poi tra lo stoccaggio e l’acquisto, in cui trascorrono anche diversi mesi, si giunge a un uso della candeggina inferiore al 3 per cento, dal momento che l’ipoclorito di sodio non scade ma decade; questo perché il cloro è una molecola molto volatile che si disperde in forma gassosa, riducendo quindi la titolazione del prodotto finale in pochi mesi. Oltre a quanto detto per la candeggina (visto che è un prodotto per la sanificazione ambienti e non a uso dermatologico), la qualità dell’ipoclorito di sodio potrebbe essere inferiore mentre l’NaOCl distribuito a uso dermatologico è di grado farmaceutico; pertanto è purificato al 98-99 per cento da tutte le altre possibili sostanze inquinanti o tossiche. 

Il metodo Ruffini come è stato accolto dall’Ordine dei medici?

Fino a qualche anno fa l’ambito dei medici che utilizzavano questa metodologia era molto ristretto, anche in considerazione del forte scetticismo che inizialmente ho suscitato proponendo questa molecola a livello terapeutico; molto scetticismo e talvolta derisione. Da almeno 2-3 anni invece si riscontra sempre maggiore curiosità e adesione dal mondo medico-scientifico. Credo che tale metodologia stia sempre più prendendo i connotati di un rimedio medico (umano e veterinario) qualificato e di nota validità. Per tante patologie sarà sempre più esclusivo. 

Quali sono i fini che vi siete posti nel divulgare questo metodo?

Non abbiamo alcun fine economico, come è possibile constatare in rete e, dopo parecchi anni di silenzi delle case farmaceutiche, del governo italiano (nello specifico il ministero della Sanità) e di molti miei colleghi medici, nonché dopo aver ricevuto molte minacce sia telefoniche che via lettera, sono determinato a proseguire il percorso divulgativo poiché è mio dovere informare ed è diritto della gente conoscere. Resto in attesa di un’adesione da parte del governo che, dalla sua posizione, possa rendere istituzionale tale metodologia. 

Che genere di difficoltà avete riscontrato nel far conoscere questo metodo alla comunità medico-scientifica?

Quando parliamo di NaOCl (NaClO) viene immediatamente in mente la candeggina, la varechina, l’euclorina, eccetera, come se questa molecola non avesse altro destino se non quello di pulire i pavimenti dei bagni. Beh, se pensiamo così, anche solo gli antibiotici si sono elevati a salvatori dalle infezioni partendo da una muffa. Pensi che il dottor Gilberto Ruffini era stato nominato ‘Il medico candeggiante’, per dirle quanto fosse forte la connotazione che ci era stata accollata. Questa quindi è stata la nostra più grave difficoltà: farci accettare, nobilitare questa molecola a un uso ben vasto, elevandola da semplice disinfettante domestico a complemento terapeutico dell’arte medica.

Cosa pensano le case farmaceutiche di questo metodo?

Il principale motivo del silenzio ostinato delle case farmaceutiche in questi 25 anni è secondo noi da attribuirsi principalmente al fatto che l’ipoclorito di sodio è una notissima molecola, di facile riproducibilità e che non è possibile tutelare commercialmente quindi le grandi aziende, non vedendo possibilità di monopolio commerciale, l’hanno trascurata.

Quale livello di efficacia avete riscontrato in questo metodo? E come lo avete misurato?

Per moltissime patologie il Metodo Ruffini si è rivelato essere ancor più efficace di molti prodotti comunemente in commercio; per alcune patologie addirittura è unico e capace di risultati risolutivi con una rapidità e un rapporto economico davvero stupefacente. Il livello di efficacia è stato misurato spesso a livello clinico valutando un prima e un dopo la cura. Circa vent’anni fa, una nota università lombarda si è prestata per analizzare in vitro alcuni tra i principali agenti patogeni implicati nelle infezioni micotiche e batteriche; ebbene, i docenti furono colpiti dalla rapidità e del risultato di tali analisi.
Non resta quindi che auspicare un autentico intervento delle istituzioni che formalizzino e ufficializzino tale metodologia per il bene comune dei cittadini e della spesa pubblica. Lo sapete che un litro di questo prodotto, in produzione industriale, è inferiore a cinquanta centesimi di euro? E che con un litro di prodotto si possono effettuare mediamente 60 trattamenti? Fate voi i calcoli immaginando tale strumento terapeutico a portata nazionale fra ospedali, ambulatori e studi medici.

Intervista adattata e ridotta per motivi giornalistici

 
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