A tutti i costi, la guerra di un leader del Pcc contro la Fede

Di Eva Fu

Per ben 100 milioni di cinesi, l’anno 1999 è stato un momento di svolta nella loro vita.

In quell’anno è iniziata una massiccia persecuzione a livello nazionale per ordine dell’allora capo del Partito Comunista Cinese (Pcc) Jiang Zemin, una campagna che prendeva di mira indiscriminatamente gli aderenti alla pratica spirituale del Falun Gong.

Jiang, descritto da alcuni sostenitori dei diritti umani come uno dei peggiori tiranni della storia, è morto nell’ultimo giorno di novembre, ma il vasto sistema di eliminazione che ha scatenato non si è fermato.

Negli ultimi 23 anni, milioni di praticanti del Falun Gong sono stati imprigionati in campi di lavoro, manicomi, centri di riabilitazione dalla droga, carceri nere non ufficiali o altre strutture di detenzione. La denigrazione, la tortura e l’uccisione organizzata per il prelievo forzato di organi, derivanti dalla persecuzione hanno causato un numero incalcolabile di morti. Coloro che sono sopravvissuti a questa violenza si sono trovati con ferite, danni finanziari e psicologici.

Sono stati sottoposti a questa ferocia semplicemente per essersi rifiutati di rinunciare alla loro fede in ‘Verità, Compassione e Tolleranza’, che sono i principi fondamentali della disciplina spirituale, che comprende anche una serie di lenti esercizi meditativi.

La brutale campagna ha reso Jiang – che ha ufficialmente governato la Cina per più di un decennio dal 1989 – il primo leader cinese ad affrontare cause legali a livello nazionale e all’estero. Nel 2009, Jiang è stato tra i cinque alti dirigenti cinesi incriminati in Spagna per aver commesso torture e genocidio contro i praticanti del Falun Gong.

L’istigatore

Jiang ha iniziato la persecuzione da solo, mobilitando l’intero apparato statale per portare avanti la brutale campagna.

Sembrava così ansioso di sollecitare il sostegno internazionale per la campagna che, all’incontro annuale dell’Apec nel settembre 1999, due mesi dopo l’inizio della repressione, ha consegnato all’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton un libro che diffamava il Falun Gong nella speranza di convincere il presidente ad adottare un atteggiamento «corretto» nei confronti della pratica, secondo quanto riportava all’epoca l’Associated Press, che aggiungeva: «Le 150 pagine del libro in inglese sono un’inesorabile raffica di propaganda da parte dei media cinesi interamente gestiti dallo Stato».

Parte della forza trainante dietro l’animosità di Jiang contro la pratica spirituale è stata anche l’insicurezza e la gelosia a livello puramente personale. L’enorme popolarità del Falun Gong, che raggiungeva quasi 1 cinese su 13, era qualcosa che non poteva tollerare.

Secondo Anything for Power: The Real Story of China’s Jiang Zemin, una serie di articoli del 2011 pubblicata da Epoch Times, una sera la moglie di Jiang, Wang Yeping, che nel 1994 praticava il Falun Gong, mentre stava facendo gli esercizi della pratica, ha percepito che qualcuno stava replicando i suoi movimenti. Aprendo gli occhi ha visto che non era altri che suo marito Jiang.

Imbarazzato e arrabbiato per essere stato colto in flagrante, Jiang ha ordinato a Wang di smettere di praticare.

«Se anche mia moglie crede in Li Hongzhi, chi crederà in me, come segretario generale del Partito Comunista Cinese?», aveva detto Jang, riferendosi al fondatore del Falun Gong.

La decisione di perseguitare una delle più grandi comunità spirituali della Cina non è stata facile fin dall’inizio.

Secondo l’allora premier Zhu Rongji, quando Jiang ha avanzato la sua proposta di sopprimere la pratica, dei sette membri del Comitato permanente del Politburo, il gruppo di potere più importante del Partito, in sei hanno obiettato. Lo stesso Zhu ha indicato che tale mossa avrebbe danneggiato l’immagine del Paese e ha sostenuto che avrebbero dovuto semplicemente «lasciare stare la popolazione praticante».

Alzandosi, Jiang ha indicato il naso di Zhu e gridato: «Sciocco! Folle! Folle! Ciò significherebbe la fine del Partito e del Paese! Se non risolviamo subito il problema del Falun Gong, stiamo commettendo un errore di proporzioni storiche».

A tutti i costi

Jiang avrebbe dichiarato ciò il 26 aprile 1999, il giorno dopo che 10 mila praticanti si erano riuniti pacificamente vicino al quartier generale del governo a Zhongnanhai, facendo appello per i loro diritti a praticare liberamente il loro credo e per il rilascio di decine di praticanti che erano stati imprigionati il giorni prima.

La folla si è dispersa dopo che Zhu ha assicurato loro il suo sostegno durante un incontro con alcuni delegati del Falun Gong. Ma Jiang, salito al potere dopo il massacro di Tiananmen un decennio prima, ha portato avanti la repressione comunque.

Il 10 giugno, Jiang ha ordinato di creare un’agenzia extra-legale per coordinare gli sforzi a livello nazionale che poi è stata chiamata Ufficio 610, sulla base della sua data di creazione (il 10-6, cioè il 10 giugno). La sua struttura e le sue operazioni erano paragonabili alla Gestapo nella Germania nazista.

La persecuzione è iniziata su vasta scala un mese dopo. I media statali a tutti i livelli hanno lanciato un’aggressiva campagna di propaganda diffamando la pratica e disumanizzandone gli aderenti, mentre coloro che si rifiutavano di rinunciare alla loro fede sono stati soggetti a un’escalation di violenza e altre forme di maltrattamento.

«Abbiamo 108 tipi di metodi di tortura! Pensi che te ne andrai da qui viva?», ha detto una guardia del campo di lavoro forzato femminile di Jilin nella provincia dello Jilin, a una praticante del Falun Gong imprigionata lì nel 2012, secondo Minghui (sito web con sede negli Stati Uniti che documenta la persecuzione).

Minghui riferisce che Jiang ha segretamente ordinato che i praticanti del Falun Gong morti a causa di percosse e altre torture dovevano essere dichiarati come suicidi e mandati alla cremazione.

Per incentivare le persone coinvolte nel programma, i funzionari li premiano con stipendi redditizi e spesso collegano i bonus al loro livello di partecipazione. Secondo un articolo di Minghui del 2001, una stazione di polizia a Dalian, una città portuale nel nord della Cina, ha richiesto a ciascun agente di arrestare nove praticanti del Falun Gong per ottenere un bonus.

A Shanghai, Lu Xingguo, 45 anni, è stato denudato e torturato in una cella con un asciugamano in bocca per impedirgli di fare rumore.

Lu è morto nel giro di un’ora. Ha perso i denti e la pelle delle labbra. I suoi capelli erano bruciati e sono stati osservati segni di folgorazione su tutto il corpo. La polizia lo ha dichiarato vittima di suicidio.

«Ci è stato detto che un tasso di mortalità del 5% è normale», ha spiegato un direttore di un’unità carceraria nell’ottobre 2003. «Non siamo preoccupati per le morti».

In dei documenti interni ottenuti da una fonte attendibile si legge che nella città di Dandong, che all’epoca contava più di 2,4 milioni di abitanti, le autorità hanno inviato quadri politici e forze di polizia più di 5.000 volte per svolgere attività di soppressione del Falun Gong durante i primi due mesi di persecuzione. Il risultato è stato il divieto di più di 100 luoghi di pratica in quel periodo, e 22.000 ‘visite’ della polizia ai praticanti.

La città ha anche speso 30.000 yuan (4000 euro) circa cinque volte il reddito annuo medio nel 2000, producendo uno spettacolo contro il Falun Gong per «educare» più di 10.000 persone; negli anni fino al 2005 ha stampato milioni di poster, volantini e disegni che diffamavano la pratica per diffonderli o appenderli su bacheche pubbliche.

Dei costi di proporzioni belliche

Intanto Jiang teneva sotto stretto controllo i progressi della persecuzione.

Nel marzo 2002, i praticanti del Falun Gong hanno intercettato le linee via cavo dell’emittente statale nella città cinese nordorientale di Changchun per mandare in onda 45 minuti di informazioni sulla persecuzione. Appena 10 minuti dopo la fine del programma, un furioso Jiang ha chiamato un amico in città, chiedendogli chi fosse il segretario del partito o il sindaco della città, secondo quanto si legge nella sua biografia personale pubblicata nel 2005. Subito dopo, le autorità della città hanno eseguito migliaia di arresti per l’incidente. I partecipanti coinvolti hanno ricevuto condanne fino a 20 anni. La maggior parte è morta in prigione o poco dopo il rilascio.

Tuttavia Jiang ha continuato a esercitare un’influenza politica da dietro le quinte anche dopo aver rinunciato a tutte le sue posizioni ufficiali nel 2004. Era il leader della fazione del Partito conosciuta come la banda di Shanghai, dal nome della città in cui Jiang ha accumulato il suo capitale politico come segretario del Partito. I suoi lealisti, molti dei quali erano figure chiave che supervisionavano la persecuzione, occupavano vari rami del Partito quando l’attuale leader del regime Xi Jinping ha assunto l’incarico nel 2012.

Con milioni di forze schierate per eseguire la campagna, la persecuzione ha richiesto un pesante tributo economico allo Stato cinese.

Un alto funzionario giudiziario di Liaoning citato da Minghui rivela che «le risorse finanziarie utilizzate per perseguitare il Falun Gong hanno superato i costi di una guerra».

Responsabilità

Dopo la sua morte, i critici esteri hanno rinnovato gli appelli di condanna, sia per lui che il regime. «Se credi nei diritti umani e credi nella legittimità delle persone che si autogovernano e parlano apertamente e hanno il diritto alla libertà di parola, c’è molto per cui ritenere responsabile la dittatura comunista cinese, e i loro leader», ha affermato l’ex presidente della Camera degli Stati Uniti Newt Gingrich, a Epoch Times. «La persecuzione del Falun Gong e la sua intensità è davvero sbalorditiva e ti mostra tutto ciò che devi sapere su quanto sia profondamente totalitario il sistema».

Chen Yonglin, un ex diplomatico cinese disertato in Australia nel 2005, considera la morte di Jiang il preludio alla caduta del regime. «Il Pcc è caduto dall’apice del suo potere e ora si trova in una situazione precaria». Ma la morte di Jiang non sminuisce la sanguinosa eredità del regime. Prima o poi Chen si aspetta di vedere i «conti saldati» con Jiang e il Partito Comunista Cinese.

 

Articolo in inglese: At All Costs: A CCP Leader’s War Against Faith

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