Lutnick: i dazi non sono “pesanti” e gli Stati Uniti vanno verso la rinascita industriale

di Redazione ETI/Catherine Yang
12 Settembre 2025 12:09 Aggiornato: 12 Settembre 2025 12:09

Il ministro del Commercio statunitense Howard Lutnick ha rivelato che i governi stranieri stanno sostenendo il peso maggiore dei dazi americani superiori al quindici per cento, e che la Repubblica Popolare Cinese ne assorbe la parte più cospicua: «La Cina versa in media un dazio del cinquantadue per cento. Ma è il governo cinese a sobbarcarsi gran parte di tale onere. Quindi […] è proprio l’esecutivo di Pechino a coprire la maggior parte di quel costo», ha dichiarato Lutnick nel corso dell’intervista concessa il 12 settembre a Cnbc.

Il responsabile del Commercio ha precisato che la maggior parte dei Paesi non paga dazi oltre il quindici per cento e che, quando succede, sono le amministrazioni estere a intervenire per sostenere le proprie imprese, mentre intanto sono in corso le trattative per ottenere condizioni più favorevoli dagli Stati Uniti. «Il meccanismo è limpido – dice Lutnick – i dazi del dieci per cento, o inferiori, vengono pagati dai produttori, dai distributori e dalle aziende» quindi «il consumatore non sborsa un centesimo. Il consumatore resta indenne, perché il venditore fa di tutto per evitare di aumentare i prezzi – ragiona Lutnick – se potesse lo farebbe, ma preferisce non rischiare un calo delle vendite, per cui se lo accolla lui».
Quando invece i dazi oscillano tra il dieci e il quindici per cento, dice Lutnick, distributori e produttori se ne dividono l’onere, in proporzione approssimativamente del sessanta-quaranta, con un incremento dei prezzi finale di circa il due per cento in caso di dazi al quindici per cento.
Ma «oltre il quindici, nessuno regge l’urto» osserva il ministro del commercio americano, «a meno che non intervenga lo Stato». Nel caso dell’automotive, «quando si sfiorava il venticinque per cento, prima che Europa, Giappone e Corea del Sud si accordassero, sono stati  governi di Seul, Tokyo e Bruxelles a farsene carico, per non ledere l’occupazione interna» ha spiegato Lutnick chiarendo la strategia di Donald Trump. «La nostra aliquota media sui dazi non è poi così elevata. Per gran parte del mondo, resta al di sotto del quindici per cento» ha concluso Lutnick.

Il ministro del commercio Usa ha inoltre annunciato che gli Stati Uniti stanno per siglare «un’intesa di grande portata con Taiwan», e verosimilmente un’altra con la Svizzera (che finora era stata messa in un angolo). Inoltre, ha ricordato Lutnick, un accordo con l’India potrebbe concretizzarsi qualora Nuova Delhi cessasse l’acquisto di idrocarburi russi. Lutnick ha poi definito Giappone e Unione Europea due partner commerciali affidabili, aggiungendo che Stati Uniti e Corea del Sud hanno raggiunto un’intesa, sebbene non ancora formalizzata.

La strategia protezionistica dell’amministrazione Trump ha mutato l’approccio dei partner esteri al tavolo negoziale, osserva il ministro del Commercio, citando gli accordi con Giappone ed Europa come esempi emblematici: mentre l’Europa ha concesso l’importazione di auto americane senza dazi, il Giappone – per ragioni culturali privo di un vero mercato per i veicoli a stelle e strisce – ha preferito impegnarsi a investire cinquecentocinquanta miliardi di dollari in progetti americani scelti dal presidente degli Stati Uniti. «I dazi stanno facendo incassare quaranta miliardi al mese e riducono il nostro deficit» ha commentato Lutnick, aggiungendo che a Washington si prevede «un gettito annuo di settecento miliardi» e che grazie alla crescita economia Trump «conta di arrivare a mille miliardi». L’amministrazione Trump prevede un boom edilizio nel primo trimestre del prossimo anno, con la realizzazione di nuove fabbriche per un valore approssimativo di diecimila miliardi di dollari, il che provocherà una crescita del Pil ancora prima che gli impianti entrino in funzione. «Assisterete alla costruzione di stabilimenti in America su una scala mai vista prima» è l’annuncio di Lutnick.

Quanto alla corte d’appello federale che ha giudicato illegittima l’applicazione dei dazi da parte del presidente, Lutnick ha assicurato che l’amministrazione è «convintissima» di riuscire a ribaltare la sentenza in sede di ricorso, osservando che ci sono quattro precedenti in cui i supremi magistrati hanno concordato che la politica estera e la gestione delle relazioni internazionali, debba rimanere «in capo al presidente».

 


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