Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato ieri una risoluzione redatta dagli Stati Uniti che approva il piano di cessate il fuoco proposto da Donald Trump per la Striscia di Gaza. Il presidente degli Stati Uniti ha ringraziato l’Onu in un messaggio su Truth scrivendo: «Si tratta di una delle più importanti approvazioni nella storia delle Nazioni Unite, che porterà nuova pace in tutto il mondo: un momento di autentica portata storica».
L’ambasciatore statunitense presso l’Onu, Mike Waltz – già consigliere per la Sicurezza nazionale durante l’amministrazione Trump – ha definito la risoluzione «storica e costruttiva» e ha precisato che l’approvazione del testo «è solo l’inizio».
Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese – dotate di potere di veto in quanto membri permanenti del Consiglio Sicurezza delle Nazioni Unite – si sono astenute, dopo che avevano manifestato l’intenzione di volersi opporre a piano di pace di Trump. Mosca aveva presentato una bozza alternativa, sostenendo che la proposta statunitense non rispecchiasse in modo adeguato i principi giuridici internazionali consolidati, tra cui il quadro della soluzione a due Stati.
La proposta americana approvata il 17 novembre, annunciata per la prima volta il 29 settembre e successivamente diffusa a novembre, costituisce un piano articolato in venti punti, che prevede un’attuazione graduale a partire dal rilascio degli ostaggi israeliani e dei terroristi palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, oltre all’incremento degli aiuti umanitari a Gaza. Nella seconda fase, Hamas dovrà consegnare le proprie armi, mentre le forze armate israeliane si ritireranno progressivamente dall’enclave, trasferendo le competenze di sicurezza a un contingente militare internazionale di stabilizzazione.
Il piano prevede inoltre la creazione di un governo tecnico provvisorio composto da esperti palestinesi e internazionali, e posto sotto la supervisione di un “Consiglio della Pace” presieduto dal presidente americano. Tale organismo, in seguito, dovrebbe trasferire le proprie funzioni a un’Autorità Palestinese riformata, delineando a quel punto «un percorso concreto verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese».
Quanto a Hamas, il “convitato di pietra” della situazione, dopo aver inizialmente dichiarato di voler accettare l’accordo, finora non ha fatto nulla (a parte restituire gli ostaggi israeliani vivi e gran parte dei deceduti) per dimostrare di voler attuare il Piano. Tutt’altro: prima del voto, Hamas si è limitata a dichiarare tramite la propria emittente, Al-Aqsa Tv, che le modifiche e alcuni punti chiave della risoluzione americana «non contribuiscono a stabilizzare la situazione a Gaza». Il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, il 17 novembre ha poi affermato che auspica «una risoluzione capace di porre fine all’aggressione israeliana contro Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme», accusando gli Stati Uniti di «tentare di compiacere alcune parti con formulazioni prive di carattere vincolante».
Anche i Comitati della Resistenza Popolare, altra organizzazione terroristica jihadista, accusa la proposta americana di rafforzare «il dominio statunitense e israeliano» e di rappresentare «una nuova forma di occupazione israeliana», rifiutando anche il contingente militare multinazionale di pace. In merito, Maher Al-Taher, dirigente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, ha dichiarato che l’istituzione di una forza internazionale di interposizione «potrebbe trasformare Gaza in un’area sottratta alla sovranità palestinese», protraendo per anni la fase transitoria «e mantenendo di fatto Gaza sotto una nuova forma di occupazione».
Secondo Israele, Hamas sta semplicemente tentando di ostacolare il piano di pace perché l’organizzazione terroristica non ha alcuna intenzione né di cedere le armi né di abbandonare per sempre Gaza, come l’accordo prevede.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha riferito al proprio governo, il 26 ottobre, che sarà Israele a decidere quali forze internazionali potranno operare nella Striscia di Gaza. Il giorno successivo, il ministro degli Esteri Gideon Saar ha precisato che Israele non accetterà il dispiegamento di forze armate turche nell’enclave. E il ministro degli Esteri americano Marco Rubio ha sottolineato che qualsiasi forza internazionale destinata alla sicurezza di Gaza, dovrà essere composta da nazioni «che Israele ritenga affidabili».




