L’Occidente sta iniziando a dire “basta” alla dittatura del Partito comunista cinese. A partire dalla dittatura economica. Durante il vertice del G7 di quest’anno, Ursula von der Leyen ha mostrato un simbolo dell’impegno dell’Occidente di volersi rendere indipendente dal regime comunista cinese : un magnete realizzato da terre rare. «Questo magnete è stato prodotto in Estonia da un’azienda canadese, utilizzando materie prime estratte in Australia e con il sostegno del Fondo europeo per la transizione equa», ha dichiarato il 15 giugno la von der Leyen agli altri capi di Stato e di governo, tra cui il presidente americano Donald Trump.
Il fondo europeo in questione, è stato inizialmente creato per finanziare l’obiettivo dell’Ue di raggiungere l’azzeramento delle emissioni di anidride carbonica. La Cina detiene il 90% del potenziale di raffinazione mondiale delle terre rare, minerali essenziali per la produzione dei magneti, che sono usati in tutte le componenti elettroniche tecnologicamente avanzate.
Le terre rare sono definite “rare” non per la loro scarsità, ma per la bassa densità con cui si presentano in natura e i costi elevati per separarle da altri metalli. La Cina ne domina l’estrazione e l’intera filiera: separazione, raffinazione e produzione di magneti. Forte di questa posizione, il regime cinese usa le terre rare come arma nella guerra commerciale con gli Stati Uniti e, nonostante gli accordi siglati recentemente, le esportazioni cinesi non sono tornate ai livelli precedenti i dazi imposti in aprile. Intanto, l’amministrazione Trump sta promuovendo lo sviluppo di una filiera nazionale americana.
Secondo gli osservatori, l’Occidente ha raggiunto un punto di “non ritorno” nella consapevolezza della necessità dello sviluppo di una propria filiera: anche se la Cina dovesse revocare le limitazioni e inondare il mercato con prodotti a basso costo non cambierebbe niente. Ken Mushinski, amministratore delegato di Rare Element Resources, che estrae e lavora terre rare in Wyoming, osserva infatti: «L’iniziativa statunitense per l’indipendenza nelle terre rare procede senza tentennamenti […] C’è un interesse straordinario, e tutti comprendono la necessità di una filiera interna».
Secondo l’esperto di tecnologia James Lewis, del Center for European Policy Analysis, già entro due anni gli Stati Uniti potrebbero aver fatto progressi concreti nella costruzione di una filiera interna.
Dal suo ritorno alla Casa Bianca Donald Trump ha emanato undici decreti esecutivi per semplificare le autorizzazioni e finanziare le imprese di estrazione e raffinazione delle terre rare. Per raggiungere l’autosufficienza totale, gli esperti stimano un arco di 10-20 anni: 20 se gli Usa agiranno da soli, 10 se agiranno in cooperazione col resto dell’Occidente.
Nell’ambito del piano d’azione del G7, gli Stati Uniti presiederanno a settembre la 15esima conferenza intergovernativa dei minerali critici a Chicago. Il magnete “europeo” mostrato dalla von der Leyen è stato «un esempio concreto ed efficace» di come le industrie possano «collaborare oltre i confini» commenta Dennis Gibson, presidente della Critical Minerals Association Usa.
L’Occidente si confronta oggi con il monopolio di fatto delle terre rare che il regime cinese ha costruito in trent’anni. Quella di Mountain Pass, in California, è l’unica miniera attiva negli Stati Uniti per l’estrazione di terre rare; situata a meno di 100 km da Las Vegas, ha dominato la produzione mondiale tra gli anni ’60 e ’80, ma oggi rappresenta solo il 15% della produzione mondiale di ossidi di terre rare. Nel 2024, la maggior parte della sua produzione è stata venduta e inviata in Cina per la raffinazione, fatturando così l’80% dei ricavi aziendali. Ma a dicembre 2024, l’azienda ha aperto un impianto proprio per la produzione di magneti e, in aprile, ha dichiarato che il 50% della sua produzione viene ora raffinato in California. A volte, cambiare non è difficile.
La tecnologia dei magneti permanenti a base di terre rare è stata scoperta negli anni ’60 in un laboratorio del ministero della Difesa americano, e perfezionata negli anni ’80 dalla giapponese Sumitomo Special Metals e dalla General Motors. Questo finché la finanza internazionale non ha deciso di trasformare la disastrosa economia della dittatura comunista cinese nella “fabbrica del mondo” che è oggi. Già nel 1992, l’allora segretario generale del Partito comunista cinese, Deng Xiaoping, sottolineava proprio l’importanza strategica delle terre rare dicendo: «il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare». La dittatura comunista ha sempre permesso alle imprese straniere di operare solo in joint venture con aziende cinesi (controllate dal regime, naturalmente), con l’obbligo di condividere con queste ultime il proprio know-how tecnologico. La produzione cinese di terre rare è così passata dal 27% del totale mondiale nel 1990 al 95% nel 2010.
Nel 2010, il regime ha dimostrato la propria forza riducendo le quote di esportazione di quasi il 40%, con un embargo al Giappone. I prezzi sono saliti fino a 50 volte. Poi, nel 2015, il regime ha abolito le quote, facendo immediatamente (e volutamente) crollare i prezzi delle terre rare, mandando in bancarotta aziende giapponesi del settore (praticamente le uniche concorrenti rimaste).
Il regime cinese potrebbe di nuovo revocare le quote di produzione apposta per far uscire dal mercato la nascente concorrenza occidentale? Gli esperti sono scettici: «i cinesi possono fare questi giochini solo fino a un certo punto». E infatti, l’Occidente ora ha deciso che è necessario avere filiere proprie, e che serve (in questo caso sì) un sistema pubblico di tutela che permetta al settore di svilupparsi, perché la dittatura comunista cinese è totalmente inaffidabile. Ora sembra che lo abbiano capito anche a Bruxelles.