Tre eventi negli ultimi tre mesi offrono una chiara prospettiva sulla crescente pressione internazionale contro l’Iran. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha adottato a giugno 2025 una risoluzione storica, condannando l’Iran per aver violato gli impegni di non proliferazione nucleare. L’Opec+ ha deciso di triplicare la produzione petrolifera, nonostante la debole crescita della domanda mondiale, raggiungendo una capacità che eccede l’intero export iraniano, pronta a compensare eventuali interruzioni nei mercati petroliferi dovute a un conflitto con l’Iran. Inoltre, diversi Paesi arabi sunniti hanno siglato accordi storici con gli Stati Uniti, autorizzando aerei israeliani e americani a sorvolare i loro spazi aerei e utilizzare le loro basi militari. La decisione dell’Opec+ di soppesare i rischi legati alle esportazioni iraniane ha due obiettivi: rafforzare il ruolo dell’Arabia Saudita come “banca centrale” mondiale del petrolio e limitare i danni all’approvvigionamento di greggio della Cina, che acquista il 90% delle esportazioni petrolifere iraniane.
La maggior parte dei Paesi arabi vicini considera l’espansione nucleare del regime iraniano la principale minaccia, non solo per Israele, ma per la loro stessa stabilità. Sanno che il regime degli ayatollah punta a estendere la propria influenza sulle nazioni sunnite, con l’obbiettivo di imporre un califfato sciita e di distruggere Israele. L’Iran rappresenta, di fatto, la più grave minaccia mondiale.
L’Aiea ha recentemente concluso, con una dura risoluzione, che l’Iran viola gli obblighi di non proliferazione nucleare. La totale mancanza di cooperazione e trasparenza impedisce di confermare che il programma iraniano sia esclusivamente pacifico. Teheran ha risposto con arroganza, annunciando l’apertura imminente di un nuovo impianto di arricchimento dell’uranio. L’Iran ha accumulato oltre 408 chilogrammi di uranio arricchito a un livello prossimo al 90% necessario per la realizzazione di armi nucleari, ben oltre il 4% richiesto per usi civili. La quantità, sufficiente per nove bombe atomiche, e la rapidità dell’arricchimento indicano chiaramente un utilizzo militare del nucleare. Un terzo dell’uranio arricchito infatti è stato prodotto negli ultimi tre mesi, un pericolo reale e in crescita.
I Paesi arabi riconoscono questa minaccia e la temono. Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman, in un’intervista al New York Times nel 2017, ha definito il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, «il nuovo Hitler del Medio Oriente», evidenziando che «il nuovo Hitler in Iran non deve ripetere in Medio Oriente quello che è accaduto in Europa».
Secondo Bloomberg, l’Iran non è mai stato così isolato dai primi anni della Repubblica Islamica. La teocrazia affronta da sola le minacce più gravi al suo regime da decenni, con attacchi da parte di Israele e ora degli Stati Uniti.
L’ultima carta che l’Iran può giocarsi per mostrare la propria forza è quella di bloccare lo Stretto di Hormuz, attraverso cui passa il 20-25% dell’offerta mondiale di petrolio e circa un quinto del commercio mondiale di gas naturale liquefatto. Ma bloccare lo stretto è più facile a dirsi che a farsi. Nonostante le ripetute minacce negli ultimi decenni, l’Iran non è mai riuscito a chiuderlo. Durante la guerra Iran-Iraq negli anni ’80, nota come “guerra delle petroliere”, gli attacchi a navi cisterna e mercantili avevano causato ritardi e un aumento dei premi assicurativi, ma non erano riusciti a fermare il flusso di petrolio e gas.
I mercati potrebbero registrare volatilità nei prezzi del petrolio e forti aumenti dei costi di trasporto navale, con le tariffe delle superpetroliere raddoppiate nell’ultima settimana. Tuttavia, i dati suggeriscono che i prezzi di petrolio, trasporti e assicurazioni sono lontani dai livelli di una crisi. Per anni, i mercati hanno ignorato i rischi geopolitici nei prezzi del petrolio. Ora assistiamo al ritorno di questi rischi, ma è improbabile che si raggiunga una crisi mondiale.
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