Entrate in una chiesa cattolica o ortodossa, visitate alcuni musei d’arte, aprite un libro di pittura occidentale o cercate online “dipinti di santi” e troverete ritratti e scene in pittura o in vetro colorato di uomini, donne e bambini riconosciuti per la loro santità.
Questi santi sono spesso raffigurati in preghiera o in devozione, con una mano sul cuore e lo sguardo rivolto al cielo. Alcuni mentre compiono miracoli, come il dipinto di Ignazio di Loyola di Rubens o Miracolo di San Marco del Tintoretto. I santi martiri in genere sono raffigurati nel momento del martirio, insieme agli strumenti di tortura, e talvolta queste tele sono quasi insopportabilmente raccapriccianti.
I libri scritti dai santi – Storia di un’anima di Teresa di Lisieux, Le Confessioni di Agostino, Introduzione alla vita devota di Francesco Di Sales – spesso sono profondi: invitano alla santità fondendo tra loro Scritture sacre, preghiera e storie personali. Alcuni affrontano le questioni di fede con una prosa formale simile alla Messa, altri, come in Teresa di Lisieux, parlano col cuore.
Per l’osservatore occasionale, l’impressione generale dei santi rappresentati nelle arti è quella di una sobrietà senza fronzoli: persone austere che avevano buone intenzioni, ma un po’ cupe.
Eppure, un numero sorprendente di santi aveva una vena umoristica che accompagnava la loro devozione, erano dotati di arguzia e umorismo, proprio come noi. Vediamone alcuni.
IL SANTO PATRONO DEI COMICI
Lorenzo (225 d.C. – 258 d.C.) era arcidiacono di Roma quando l’imperatore Valeriano fece arrestare papa Sisto II. I Romani di solito confiscavano le ricchezze di quelli che venivano giustiziati. Quando gli fu ordinato di consegnare i beni al prefetto di Roma, Lorenzo rispose: «Tornerò fra tre giorni con i tesori della Chiesa». Invece, distribuì il denaro e i beni della Chiesa, di cui era custode, ai poveri. Il giorno stabilito, si presentò con una folla di poveri, storpi, vedove e orfani del suo gregge, dichiarando allegramente: «Ecco il tesoro della Chiesa».

Museo Stadel, Francoforte. Foto di pubblico dominio
Il prefetto ordinò quindi il suo arresto e, per la sua insolenza, lo condannò a morte facendolo bruciare su una graticola. La leggenda narra che a un certo punto Lorenzo disse ai suoi carnefici: «Potete girarmi. Da questa parte ho finito».
Qualcuno nella Chiesa ha fatto dell’umorismo nero simile al suo, perché oggi Lorenzo è anche il patrono dei cuochi e dei comici.
UN UOMO PER TUTTE LE STAGIONI
Più di un millennio separa Lorenzo da Tommaso Moro (1478-1535), ma i due uomini avevano una caratteristica in comune: anche Moro affrontò i suoi carnefici con una battuta. L’autore della satira Utopia era popolare sia in Inghilterra che all’estero per la sua arguzia. Il filosofo e umanista Erasmo da Rotterdam, amico di lunga data, descrisse l’umorismo di Moro in una lettera a un conoscente comune:
«In compagnia la sua straordinaria gentilezza e dolcezza di carattere sono tali da rallegrare lo spirito più ottuso e alleviare il fastidio delle circostanze più difficili. Fin da ragazzo era sempre così contento di scherzare, che poteva sembrare che lo scherzo fosse l’obiettivo principale della sua vita; ma con tutto ciò, non si spinse fino alla buffoneria, né ebbe mai alcuna inclinazione all’amarezza. … Quando una cosa veniva detta in modo faceto, anche se era rivolta a se stesso, ne era affascinato, tanto gli piaceva qualsiasi battuta che avesse un sapore di sottigliezza o di genialità».

Quando Moro si rifiutò di riconoscere il divorzio di Enrico VIII da Caterina d’Aragona e di pronunciare il giuramento di Supremazia del re sulla Chiesa, fu arrestato, imprigionato nella Torre di Londra e infine decapitato. Mentre saliva sul patibolo, Moro disse al boia: «Ti prego, amico, dammi la mano per aiutarmi a salire. Per quanto riguarda la mia discesa, lasciami stare, ci penserò da solo».
Appoggiando la testa sul ceppo, Moro spostò la lunga barba che si era fatto crescere in prigione: «È un peccato che debba essere tagliata, perché non ha commesso tradimento. Permettimi di metterla da parte».
LA SANTA OSTINATA
Molti, probabilmente, sarebbero d’accordo con una frase di Teresa d’Avila (1515-82): «Dalle sciocche devozioni e dai santi dalla faccia acida, buon Dio, liberaci!». La monaca carmelitana, riformatrice e mistica era famosa per la sua arguzia e la sua schiettezza. Una volta, durante un viaggio, il carro su cui viaggiava si ribaltò e fu schizzata dappertutto di fango e acqua. Poiché affermava che Dio le avesse detto: «È così che tratto tutti i miei amici», Teresa agitò il pugno verso il cielo ed esclamò: «Allora non c’è da stupirsi che tu abbia così pochi amici!».

Da ragazza, Teresa amava la musica, il ballo, il canto, le feste e raccontare storielle. Alla fine i genitori mandarono la loro caparbia figlia in convento, nella speranza che imparasse un po’ di autodisciplina e moderazione. Anni dopo, Teresa iniziò la sua autobiografia con questo commento comico e autoironico: «L’aver avuto genitori virtuosi e timorati di Dio mi sarebbe bastato per essere buona, se non fossi stata così malvagia». La vita giovanile, fatta di piaceri e di autoindulgenza, rese Teresa più gentile e comprensiva nei confronti delle manie altrui, in particolare delle suore a lei affidate e dei laici che cercavano il suo consiglio spirituale. A un uomo che le chiedeva consiglio, scrisse: «Le vostre imperfezioni non mi scandalizzano, perché ne vedo tante altre in me».
IL GIULLARE DI DIO
Contemporaneo di Teresa, Filippo Neri (1515-95) fu molto amato a Roma, dove visse durante i primi sconvolgimenti causati dalla Riforma. Conversava con tutti, dai nobili ai mendicanti, ascoltando le confessioni per ore al giorno e suscitando divertimento ovunque andasse. Come Teresa, sperimentava estasi nella preghiera, che gli procurarono ancora più ampia notorietà.
Per sminuire la sua crescente reputazione di santità e per rafforzare la propria umiltà, Filippo Neri a volte recitava la parte del buffone, come quando si presentò a una cerimonia con metà della barba rasata, senza dare una spiegazione. Da anziano, a volte invece di camminare saltava, provocando lo scherno di alcuni che lo chiamavano “vecchio pazzo”. Alcune sue letture preferite erano libri di storielle e i suoi alloggi erano chiamati “Rifugio della gioia cristiana”. Neri divenne santo patrono della gioia e dell’umorismo. È interessante notare che negli Stati Uniti è stato scelto anche come patrono delle forze speciali dell’Esercito, un onore conferitogli per la noncuranza di sé, per le sue superbe capacità di insegnamento e per il suo talento di guida ispiratrice.

“ANDARE ALLEGRAMENTE AL BUIO”
Molto ancora ci sarebbe da raccontare di queste figure straordinarie. Qui abbiamo gettato solo un rapido sguardo su alcuni momenti della loro vita, in cui hanno manifestato e condiviso umorismo e gioia. Francesco d’Assisi, Francesco di Sales, Giovanni Bosco e molti altri di questi uomini e donne amavano ridere, scherzare e godere della gioia.
Anche in tempi più vicini a noi alcuni santi si sono affidati all’umorismo per alleggerire le situazioni. Papa Giovanni XXIII, ad esempio, era famoso per le sue battute. Quando un giornalista gli chiese quante persone lavorassero in Vaticano, rispose: «Circa la metà». Spesso scherzava sul suo aspetto: le grandi orecchie, il naso e la sua considerevole circonferenza. Dopo un incontro con i fotografi, disse all’arcivescovo americano Fulton Sheen: «Da tutta l’eternità, Dio sapeva che sarei diventato papa. Ha avuto ottant’anni per lavorare su di me. Perché mi ha fatto così brutto?».
Leggiamo e studiamo la letteratura, la storia e la biografia per intrattenimento, conoscenza e consiglio, cercando in ultima istanza informazioni pertinenti alla nostra vita, ispirazione, consolazione e tutto ciò che sta nel mezzo. Cerchiamo esempi, reali o immaginari, che possano fungere da guida nella vita e indicarci la strada giusta.
Qualunque sia la nostra appartenenza religiosa, i santi ci danno modo, come disse una volta lo scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton, di «andare allegramente nel buio».