Nel buio di una notte, una biologa ha scoperto cosa si prova a diventare luce: dalla sua barca, osservava milioni di minuscoli plancton illuminare l’oceano di un brillante blu-verde che si estendeva a perdita d’occhio. Quando è entrata in acqua, tutto il suo corpo ha iniziato a illuminarsi: al minimo movimento, diventava una «parte vorticosa dell’affresco luminoso». I pesci la circondavano nuotando e creando ognuno una scia di luce eterea.
La scienziata, intervistata del sociologo Brandon Vaidyanathan nel corso della ricerca su scienza e spiritualità, ricorda l’esperienza paradossale: capiva esattamente perché quegli organismi brillassero, ma la spiegazione scientifica non diminuiva la sua meraviglia. Al contrario, l’ha accresciuta generando un profondo senso di spiritualità. La sua esperienza sfida uno dei nostri presupposti culturali più radicati: che la scienza e la spiritualità appartengano a regni separati.
La ricerca dimostra che, lungi dal diminuire il desiderio spirituale, la scienza può in realtà risvegliarlo. Per molti scienziati, il laboratorio non è solo un luogo di logica, ma un portale verso la meraviglia e una ricerca più profonda di significato.
La questione della contrapposizione tra scienza e spiritualità affonda le radici nella teoria del disincanto del sociologo tedesco Max Weber, secondo cui con il progresso della scienza il desiderio spirituale “necessariamente” si ritira.
Secondo Vaidyanathan, direttore dell’Institutional Flourishing Lab presso la Catholic University of America: «La modernità priva la realtà, e in particolare la scienza, del senso di magia e mistero. Il pensiero scientifico si oppone al pensiero magico e mira a ridurre la nostra esperienza della realtà ad atomi, molecole, formule e così via».
Vaidyanathan ha dedicato anni alla ricerca di una visione più articolata, intervistando oltre cento biologi e fisici in India, Italia, Regno Unito e Stati Uniti e scoprendo che gli scienziati, siano essi religiosi, spirituali ma non religiosi o completamente laici, sono accomunati da un desiderio di spiritualità straordinariamente simile. In seguito, la sua équipe ha analizzato i testi delle interviste per individuare quali parole gli scienziati avessero usato per descrivere le loro esperienze.
Gli scienziati religiosi, nel parlare del loro desiderio, associavano parole come “fede”, “Dio”, ‘preghiera’ e “comunità” riflettendo il modo in cui integrano il desiderio spirituale nel loro percorso di fede. Uno di essi ha affermato: «Questo desiderio di raggiungere le stelle ci permette di conoscere anche qualcosa di noi stessi». Per loro, la scienza diventa un modo per comprendere ancora più profondamente la creazione divina.
Gli scienziati spirituali ma non religiosi vivono la loro spiritualità come un viaggio dinamico e personalizzato, plasmato da connessioni emotive ed esperienze trascendenti. L’associazione delle loro parole vertevano su “connessione”, “esperienza”, ‘trascendente’ e “natura”. La natura è spesso il loro principale mezzo spirituale. Uno di loro ha descritto così il proprio desiderio: «In riva al mare… per me è estremamente rilassante, anche quando è agitato, freddo e orribile, perché è quasi come guardare nell’infinito. Non c’è nulla lì, [eppure] è in continuo movimento».

Gli scienziati non religiosi e non spirituali potrebbero sembrare immuni alle esperienze spirituali, ma Vaidyanathan ha scoperto che spesso esprimono desideri simili attraverso la curiosità intellettuale e le domande esistenziali. Inquadrano la loro ricerca di significato in termini di crescita personale e connessione con la natura o il cosmo. Le loro parole chiave enfatizzavano «curiosità», «significato» e «connessione». Uno scienziato lo ha descritto come «una spinta a continuare a porre domande, perché è così che ci orientiamo in un universo vastissimo.»
Quello che accomuna tutti e tre i gruppi, rivela la ricerca, è la loro capacità di provare stupore. Martin Nowak, professore di biologia e matematica all’Università di Harvard, ritiene che scienza e spiritualità condividono un attributo fondamentale: «Entrambe bramano la verità. Entrambe hanno a che fare con lo stupore e la capacità di meravigliarsi».
La sinergia tra scienza e spiritualità ha radici profonde e antiche. Galileo studiava le stelle, convinto che fossero opera delle mani di Dio. Newton vedeva le leggi del moto come segni dell’ordine divino. Come affermò lo scrittore britannico C.S. Lewis, «gli uomini dalla mentalità scientifica si aspettavano che esistesse una Legge nella Natura, e si aspettavano che esistesse una Legge nella Natura perché credevano in un Legislatore». Per molti scienziati illustri, la fede non era in contrasto con la scoperta, ne era anzi fonte di ispirazione.
Uno studio del 2023 pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology ha introdotto il concetto di “spiritualità della scienza”: sentimenti di significato, stupore e connessione derivati dalle idee scientifiche. E ha scoperto che questa spiritualità della scienza implicava un maggiore coinvolgimento e apprendimento delle informazioni scientifiche, producendo benefici psicologici simili alla spiritualità religiosa, anche tra atei e agnostici. Questo può aiutare a spiegare perché Einstein descrisse l’unione tra religione e scienza come un «sentimento religioso cosmico» e la considerò «il più forte e nobile stimolo alla ricerca scientifica». Einstein credeva che scienza e spiritualità condividessero una spinta fondamentale verso la verità e lo stupore.
Gli scienziati contemporanei fanno eco ai sentimenti di Einstein. Sarbmeet Kanwal, fisico teorico del California Institute of Technology, dice: «Lo stupore e la meraviglia fungono da porta d’accesso per sperimentare un aspetto della realtà per il quale non abbiamo ancora una solida base scientifica».
Tuttavia, tale porta non si chiude quando troviamo una spiegazione scientifica. Il matematico e filosofo John Lennox nota che le spiegazioni possono funzionare a diversi livelli senza annullarsi a vicenda. Se chiedete: «Perché l’acqua bolle?», una risposta potrebbe descrivere il trasferimento di calore che rompe i legami di idrogeno tra le molecole; un’altra potrebbe semplicemente dire: «Perché voglio una tazza di tè». Entrambe sono vere, ma rispondono a domande diverse. Allo stesso modo, conoscere la chimica del plancton luminoso non lo priva della sua meraviglia.

Per Mario Livio, ex astrofisico dello Space Telescope Science Institute, che ha cooperato per ventiquattro anni alla gestione del telescopio spaziale Hubble, la dimensione spirituale della scienza si è manifestata quando sono arrivati i primi dati dell’Hubble Deep Field, l’immagine più dettagliata dell’universo rilevata fino a quel momento: «Mi ha lasciato senza parole, mi sono reso conto di quanto siamo piccoli. Sebbene abbiamo scoperto che dal punto di vista fisico non siamo altro che un granello di polvere, è stato l’arricchimento della conoscenza umana a permetterci di comprendere il cosmo».
La dimensione spirituale della scoperta scientifica non si limita alle vaste proporzioni dell’astronomia. Vaidyanathan ricorda di aver intervistato una biologa in India che gli ha mostrato delle diapositive di batteri che stava studiando. La studiosa, indicando prima l’ago del batterio e poi un primo piano di quello che sembrava un pilastro di un tempio indù risalente a tremila anni fa, disse: «Se non ti dicessi che si tratta di un batterio, potresti facilmente scambiarlo per uno di questi splendidi ‘stambha’ [pilastri ornamentali che si trovano nei templi indù] di un sito archeologico». E aggiunse: «Se solo pensassimo di realizzarlo, di fabbricarlo, ci vorrebbero secoli. E loro lo fanno in pochi minuti. Sono delle vere e proprie opere d’arte».

Di Schraidt O, Lefebre MD, Brunner MJ, CC BY 2.5

Non tutti gli scienziati provano un desiderio spirituale, e la ricerca di Vaidyanathan riconosce questi limiti. Alcuni mantengono una prospettiva razionalista più tradizionale, trovando soddisfazione nelle spiegazioni materiali senza alcun senso di desiderio di trascendenza. Altri vedono la scienza come rivelatrice dei limiti umani piuttosto che del significato cosmico.
Tuttavia, molti scienziati «non vedono alcuna contrasto tra l’esperienza spirituale e la ricerca scientifica», ha affermato Kanwal. «La ricerca scientifica è un modo per fondare le nostre esperienze umane in un ordine naturale che pervade l’universo in cui viviamo. Un giorno, e potrebbero volerci secoli, potremmo essere in grado di spiegare l’esperienza spirituale come parte dell’ordine dell’universo. Ma fino ad allora, dobbiamo considerarla un mistero ancora da esplorare, non qualcosa che si oppone in alcun modo alla scienza».
Per Kanwal, se la scienza evoca naturalmente il desiderio spirituale in tutti i sistemi di credenze, allora il presunto conflitto tra ragione e trascendenza potrebbe essere in gran parte artificiale, una falsa dicotomia che limita sia la comprensione scientifica che quella spirituale.
Come conclude lo studio di Vaidyanathan: «Anche se, come abbiamo visto, alcuni scienziati non esprimono un desiderio di spiritualità, la scienza può comunque ispirare nuovi percorsi di esplorazione spirituale ed esistenziale, offrendo una risorsa spirituale unica sia per i credenti che per i non credenti».