La Russia vuole installare missili in Libia e puntarli contro l’Europa

di Agenzia Nova
29 Maggio 2025 17:22 Aggiornato: 29 Maggio 2025 17:22

La Russia vuole installare sistemi missilistici nella base militare di Sebha, capoluogo del Fezzan libico controllato dal generale Khalifa Haftar, per puntarli contro l’Europa. Lo ha riferito ad Agenzia Nova una persona vicina al dossier, precisando che il piano sarebbe già in fase avanzata. Sebha, situata nella Libia meridionale a circa 900 chilometri da Tripoli e poco più di mille chilometri da Lampedusa, rappresenta un punto strategico ideale per colpire obiettivi europei con missili a medio e lungo raggio.

Il 12 maggio scorso è stato ucciso a Tripoli Abdulghani al Kikli, detto “Ghaniwa”, leader del “Dispositivo di sostegno alla stabilità”, per mano della Brigata 444, milizia fedele al premier del Governo libico di unità nazionale, Abdulhamid Dabaiba. Questo episodio ha scatenato la peggiore spirale di violenza nella capitale libica degli ultimi anni, offrendo a Haftar la possibilità di neutralizzare tutte le milizie rivali, avanzare verso Tripoli ed assumere il controllo di tutto il Paese. La persona vicina al dossier spiega: «Haftar, insieme a suo figlio Saddam, sta lentamente avanzando verso Tripoli per sgominare il mosaico di milizie che difendono la capitale, arrestare o esiliare Dabaiba (probabilmente a Istanbul) e impossessarsi di tutta la Libia».

Secondo questa persona, i russi starebbero legittimando e sostenendo l’avanzata del generale libico, consentendogli di espandere ulteriormente la base di Sebha con la collaborazione della Bielorussia, come già riferito da Nova. «Il vero obiettivo di Putin e dei servizi russi è installare missili nella base di Sebha e puntarli contro l’Europa».
Se davvero la Russia dispiegasse missili a medio raggio nel Fezzan, le rampe potrebbero essere protette dai sistemi di difesa aerea già utilizzati dalle forze di Haftar, come il sistema russo Tor-M1, recentemente mostrato durante la parata militare di Bengasi. Il Tor-M1 è un sistema missilistico terra-aria molto avanzato, capace d’intercettare e neutralizzare missili nemici, droni e velivoli a bassa quota, garantendo così un’efficace copertura difensiva dei siti strategici.

Una seconda persona, anch’essa informata dei fatti, aggiunge un ulteriore elemento al puzzle geopolitico: «Parte del piano sarebbe avallato anche dagli Stati Uniti, con la mediazione della Turchia. L’intesa prevedrebbe il trasferimento di un milione di palestinesi da Gaza alla Libia: cittadini esausti che non sostengono Hamas e sono vittime delle atrocità commesse da Benjamin Netanyahu». Una notizia simile era già stata diffusa dall’emittente statunitense Nbc, ma smentita ufficialmente da Tripoli e dall’ambasciata Usa a Tripoli. Un’operazione di trasferimento così massiccia comporterebbe migliaia di voli e decine di navi e sarebbe logisticamente molto complessa. Attualmente, la Libia ha una popolazione di circa 7,3 milioni di abitanti e ospita già – secondo i dati dell’Oim – più di 800 mila migranti.

Tuttavia, questa persona aggiunge che «Haftar avrebbe già dato disponibilità a concedere la cittadinanza ai palestinesi deportati, garantendosi così mano libera nella gestione delle risorse petrolifere e del potere. Un’altra parte dei palestinesi di Gaza, circa 800 mila, potrebbero invece essere trasferiti in Siria, grazie a un accordo tra Trump e Ahmed al Sharaa, il nuovo leader di Damasco. Quest’ultimo avrebbe accettato l’arrivo dei palestinesi, garantendo loro la cittadinanza; Trump, inoltre, avrebbe ottenuto che il governo siriano sottragga ai russi la base militare di Latakia, che diventerebbe un porto commerciale controllato da Usa e Siria». Secondo una fonte araba sentita da Agenzia Nova, il piano per il trasferimento della popolazione palestinese da Gaza avrebbe anche l’avallo dell’Arabia Saudita, interessata a futuri investimenti immobiliari nella Striscia e ad eventuali giacimenti di petrolio nel suo offshore.

Alcuni giornali della Cirenaica, come Libya Review, hanno segnalato la partecipazione di militari di Haftar alle esercitazioni Nato “Anatolian Phoenix 25”, in Turchia. Secondo la prima persona vicina al dossier sentita da Nova, tra i 1.500 e i 2 mila militari delle forze di Haftar sarebbero attualmente addestrati dai turchi che avrebbero – tra l’altro – approvato la vendita di droni armati a Bengasi, da impiegare contro le milizie di Tripoli. In questo contesto s’inserisce la visita ufficiale di Saddam Haftar, capo di stato maggiore delle forze terrestri dell’esercito nazionale libico, ad Ankara, dove è stato ricevuto dal comandante delle Forze terrestri turche, generale Selcuk Bayraktaroglu. Una visita avvenuta il 4 aprile: data tutt’altro che casuale, trattandosi del quinto anniversario dell’offensiva lanciata nel 2019 dalle forze della Cirenaica contro la capitale Tripoli, allora controllata dal Governo di accordo nazionale di Fayez al Sarraj. Quell’attacco – definito da Tripoli «un colpo di Stato» – era stato respinto nei mesi successivi soprattutto grazie all’intervento militare della Turchia, che a partire dal gennaio 2020 fornì supporto armato e operativo al Governo di accordo nazionale, contribuendo al ritiro delle truppe di Haftar nel giugno 2020.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan starebbe ora cercando di ampliare la propria influenza nella Libia orientale, regione ricca di risorse e geograficamente vicina alla Turchia, attraverso il bacino orientale del Mediterraneo. Una mossa che risponde alla volontà di Ankara di sbloccare l’accesso alle esplorazioni energetiche nelle acque e nei territori controllati dalle autorità orientali, finora reticenti ad applicare i protocolli dell’intesa marittima firmata con Tripoli nel 2019. Ankara non avrebbe ancora abbandonato ufficialmente Dabaiba, ma sarebbe pronta ad offrirgli ospitalità in caso di caduta del governo. «La Turchia gioca su più tavoli, mantenendo ad esempio stretti rapporti commerciali con l’Iran, e non intende ostacolare accordi presi con Vladimir Putin, che sembrano avallati dagli Usa», conclude la prima persona sentita da Nova.

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