La rappresaglia del regime cinese ai dazi passa per le terre rare

di Redazione ETI/Reuters
6 Giugno 2025 5:50 Aggiornato: 6 Giugno 2025 8:50

In un imponente edificio grigio vicino Piazza Tiananmen, un ristretto gruppo di funzionari del ministero del Commercio del regime comunista cinese starebbe plasmando il destino dell’industria automobilistica mondiale, valutando una a una le richieste di autorizzazione all’esportazione di magneti a base di terre rare.

La Cina detiene un quasi monopolio su questi materiali, essenziali per i motori dei veicoli elettrici, e lo scorso aprile li ha inseriti in un elenco di prodotti soggetti a controlli all’esportazione, nell’ambito della guerra commerciale con gli Stati Uniti. Da allora, ogni esportatore deve ottenere una licenza dal Partito comunista cinese.

Formalmente, la gestione delle autorizzazioni è affidata all’Ufficio per la sicurezza industriale e il controllo delle importazioni ed esportazioni, una divisione del ministero del Commercio, che ha il compito di esaminare le richieste per i magneti di terre rare, componenti fondamentali non solo per i motori delle auto, ma anche per le turbine eoliche e persino per i caccia F-35. Da fine aprile, sono state rilasciate decine di licenze ma, riporta Reuters, secondo dirigenti, lobbisti e diplomatici, rappresenterebbero solo una frazione delle centinaia di domande arrivate da case automobilistiche, aziende di semiconduttori e imprese aerospaziali di tutto il mondo, dopo l’introduzione delle nuove restrizioni.
Quando le nuove misure sui magneti di terre rare sono entrate in vigore, l’ufficio preposto contava 30 dipendenti, un numero che, secondo due fonti citate da Reuters, è stato successivamente raddoppiato.

«Noi riconosciamo come il ministero del Commercio abbia incrementato le risorse per far fronte alla domanda e che il personale stia lavorando con impegno e orari straordinari», ha dichiarato Adam Dunnett, segretario generale della Camera di commercio europea in Cina «ma è innegabile che queste misure stiano avendo un impatto enorme su molteplici settori. Una pianificazione più accurata e un’attuazione graduale avrebbero potuto mitigarne gli effetti».

L’allarme internazionale per la carenza di terre rare, evidenzia l’enorme influenza che negli anni è stata concessa al regime cinese fino a arrivare al quasi monopolio della produzione. Al contempo, mette in luce un processo burocratico complesso, trasformatosi da semplice controllo in un vero e proprio collo di bottiglia: «La procedura per i nostri fornitori per richiedere le licenze di esportazione di varie terre rare, in vigore da aprile, è articolata e richiede tempo, anche per la necessità di raccogliere e fornire una grande quantità di informazioni», ha spiegato il mese scorso un portavoce della multinazionale tedesca Bosch.

I fornitori delle Case automobilistiche europee hanno presentato centinaia di richieste dall’inizio di aprile, ma solo un quarto è stato approvato. Queste domande possono variare da poche decine a centinaia di pagine, secondo fonti che hanno presentato richieste o ne sono state informate. Le linee guida pubbliche del ministero richiedono informazioni dettagliate, come descrizioni tecniche dei prodotti, contratti firmati, descrizioni degli impianti di produzione e, in alcuni casi, persino fotografie dei prodotti.

L’obiettivo dichiarato della Cina è impedire che materiali a duplice uso finiscano in equipaggiamenti militari. Ma, il secondo segretario generale della Camera di commercio europea in Cina, in realtà i funzionari del regime trovano ogni pretesto, anche quando le domande sono chiaramente per un utilizzo commerciale. E c’è anche preoccupazione per la richiesta di informazioni che toccano la proprietà intellettuale (l’appropriazione di proprietà intellettuale occidentale è prassi normale per il Partito comunista cinese) causando ulteriori ritardi. In teoria. le richieste dovrebbero essere evase entro 45 giorni lavorativi, ma il ministero cinese precisa che quelle legate alla sicurezza nazionale richiedono tempi più lunghi, ma senza dire quanto più lunghi.

Cory Combs, responsabile della ricerca sui minerali di importanza strategica e le catene di approvvigionamento presso Trivium China, un think tank di ricerca politica, osserva che non è chiaro se i ritardi siano dovuti a inerzia burocratica o a un’intenzionale strategia di pressione, e che le richieste per utenti finali negli Stati Uniti dovrebbero esswere esaminate allo stesso modo di quelle di altri Paesi, ma «il punto è: saranno abbastanza rapide da convince per convincere l’amministrazione Trump che Pechino non stia violando l’accordo di Ginevra?».

Anche diversi esponenti del settore americano delle terre rare, ritengono che l’accumulo burocratico sia un pretesto: «La Cina può incrementare il personale velocemente, se lo vuole», ha commentato una fonte a Reuters. In pubblico, i funzionari cinesi hanno sostenuto che i controlli sulle esportazioni si applicano a tutti i Paesi, sottintendendo che non si tratta di una misura specifica contro gli Stati Uniti, in conformità con l’accordo di Ginevra, ma durante i colloqui di Ginevra la Cina avrebbe ammesso, a porte chiuse, che tali controlli rappresentano rappresaglie non doganali, e quindi nascoste.

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