Al capo del regime cinese tutto pare andare di male in peggio. Il Partito comunista cinese ha annunciato un cambio di leadership nella regione dello Xinjiang, sostituendo Ma Xingrui, un altro fedelissimo di Xi Jinping. L’autorità politica del segretario generale del Partito comunista cinese appare sempre più debole e incerta, nel quadro delle sempre più evidenti lotte interne al Partito: gli avversari di Xi gli stanno facendo sempre più terra bruciata attorno.
Il vecchio boiardo dello Xinjiang Ma Xingrui, prima di entrare in politica, ha ricoperto ruoli di vertice nel settore aerospaziale cinese, diventando nel 2007 direttore generale della principale agenzia del programma spaziale cinese. Nominato segretario del Pcc nello Xinjiang a dicembre 2021, il suo mandato è stato segnato da accuse da parte degli uiguri e di diverse organizzazioni per i diritti umani, che lo hanno denunciato per aver inasprito la repressione nello Xinjiang, una regione dove lavoro forzato, repressione culturale e persecuzione delle minoranze la fanno da particolarmente padroni, ma rappresentativa di una situazione normale in tutta la Cina, seppure con diversi livelli di gravità.
L’agenzia di stampa Xinhua, organo di propaganda del Partito comunista cinese, ha pubblicato il 1° luglio un breve comunicato sul cambio di leadership, limitandosi a dire che Ma Xingrui «riceverà un altro incarico», senza rilasciare ulteriori dettagli. Cosa abbastanza insolita negli annunci ufficiali cinesi. Negli ultimi anni, il settore spaziale cinese è stato travolto da diversi gravi scandali, e diversi dirigenti sono stati rimossi e sottoposti a indagine. Inchieste che, fra l’altro, hanno anche rivelato problemi strutturali, sollevando dubbi sull’affidabilità dei programmi missilistici e spaziali cinesi, che spesso sono un mero “copia-incolla” di progetti occidentali. Secondo gli osservatori, gli scandali scoppiati nel settore spazio (indagini per corruzione, problemi di controllo qualità e irregolarità negli appalti) hanno probabilmente creato grossi problemi al fedelissimo di Xi Jinping, causandone la prematura uscita di scena.
L’evidente incapacità di Xi Jinping di proteggere Ma Xingrui, è interpretata quindi come una conferma del fatto che la sua autorità sia ormai sempre più in declino. Xi Jinping, ad esempio, aveva promesso a Wang Qishang – un tempo suo fido alleato – un posto nel Comitato Permanente del Politburo, promessa che Xi non ha mantenuto; o meglio non ha potuto mantenere, visto il clima di tensione che si respira sempre di più all’interno del Partito. Ma a prescindere dai motivi, l’impegno non rispettato di Xi gli ha fatto perdere l’ennesima “fraterna amicizia” di un alto dirigente del Pcc. Xi Jinping, insomma, non ha più il potere di premiare “i suoi” e metterli in posizioni chiave: e senza do ut des in Cina è del tutto impossibile fare politica.
Ma non è tutto: una delle varie fazioni avverse a Xi, (i cosiddetti “principini”, ossia i discendenti dei primi fondatori del regime cinese) hanno sempre temuto che il potere di Xi potesse portare a instabilità politica e sociale (come infatti è stato) e gli stanno remando contro da anni, per impedire la sua (quarta) rielezione nel 2027, proponendo proprio il suo ex fedelissimo Wang Qishang come alternativa.
Scoperto il piano, Xi ha avviato nel 2022 una colossale purga contro gli alleati di Wang, rendendoselo ancora più nemico, ovviamente. Quindi, il recente avvicendamento al potere nello Xinjiang sarebbe da leggere proprio come il sintomo di un’escalation nella guerra di potere interna al Partito comunista cinese (un fatto tipico delle dittature comuniste) con i cosiddetti “principini” che ormai vanno apertamente allo scontro frontale con Xi Jinping, accusandolo di voler monopolizzare il Partito, trasformando il “governo collettivo” che dovrebbe caratterizzarlo in un potere assoluto, in una riedizione del culto della personalità di Mao Zedong.
Per inciso, è interessante osservare come nelle dittature comuniste (e non solo) gli aspiranti dittatori del regime diventino improvvisamente “democratici” quando vogliono appropriarsi del potere in mano al tiranno di turno; e come l’unica cosa che fermi questi avversari interni sia un livello di violenza e brutalità, da parte del tiranno, capaci da azzerare ogni opposizione. Mao, uno dei tiranni più crudeli della Storia, c’era riuscito; come anche Jiang Zemin (un vero e proprio mostro, anche per gli standard infernali del comunismo cinese). Xi Jinping non ci sta riuscendo. E non certo perché sia “troppo buono”. Forse Xi sta fallendo perché è il Partito comunista cinese che sta per fallire: per implodere su se stesso. Ma, molto probabilmente, né lui né i suoi avversari se ne rendono conto.