La manovra economica 2026 aiuta la “classe media”?

di Roberta Chiarello
8 Novembre 2025 7:49 Aggiornato: 8 Novembre 2025 7:49

Il taglio dell’Irpef previsto nella Legge di Bilancio per il 2026 aiuta principalmente le famiglie italiane più ricche. Lo ha annunciato il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, durante l’audizione del 6 novembre di fronte alle commissioni Bilancio di Senato e Camera.

Secondo Chelli, la riduzione di due punti percentuali della seconda aliquota dell’imposta sul reddito delle persone fisiche «coinvolgerebbe poco più di 14 milioni di contribuenti, con un beneficio annuo pari in media a circa 230 euro». La maggior parte delle risorse ricavate dalla misura, però, andrebbero a favore dei nuclei familiari più ricchi. Secondo il presidente dell’Istat «ordinando le famiglie in base al reddito disponibile equivalente e dividendole in cinque gruppi di uguale numerosità emerge come oltre l’85% delle risorse siano destinate alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito: sono infatti interessate dalla misura oltre il 90% delle famiglie del quinto più ricco e oltre due terzi di quelle del penultimo quinto». Il guadagno medio, sottolinea Chelli, «va dai 102 euro per le famiglie del primo quinto ai 411 delle famiglie dell’ultimo. Per tutte le classi di reddito il beneficio comporta una variazione inferiore all’1% sul reddito familiare».

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dichiarato, durante l’audizione, che il governo ha voluto destinare 3 miliardi di euro alla riduzione dell’Irpef, applicata ai redditi compresi tra 28 e 50 mila euro, proprio per «tutelare i contribuenti con redditi medi». Tale misura – ha chiarito il ministro – «estende la platea di soggetti che avevano, a partire dal 2025, beneficiato dalla riduzione strutturale del cuneo fiscale, coinvolgendo 13,6 milioni di contribuenti (il 32 per cento del totale) di cui 8,2 milioni lavoratori dipendenti. Il beneficio medio atteso è pari a 218 euro annui, con un beneficio massimo di 440 euro all’anno».
Giorgetti ha inoltre ricordato che nel testo della manovra «sono presenti vari interventi di carattere fiscale per le famiglie, per le famiglie numerose, a supporto della genitorialità, della sanità e delle imprese».

Ma cosa si intende per “classe media” e chi vi rientra? Secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) appartengono alla classe media «gli individui o le famiglie con redditi compresi tra il 75% e il 200% del reddito mediano equivalente nazionale».
Se nell’Ottocento l’appartenenza alla middle class era principalmente una questione di differenza di ceto tra borghesi e proletari, oggi la distinzione si basa su fattori come potere d’acquisto, tenore di vita e sicurezza economica. Negli anni Settanta e Ottanta in Italia, con la progressiva crescita del reddito reale a partire dal secondo dopoguerra e una forte industrializzazione, si è affermata una classe media ampia e dotata di forte potere d’acquisto. In quegli anni l’inflazione era alta – aveva raggiunto il picco del 21% nel 1980 – ma l’Italia è era prima la quinta e poi la quarta potenza industriale al mondo.

Negli ultimi quarant’anni la classe media dei Paesi avanzati, Italia compresa, si è lentamente assottigliata, perdendo il ruolo di spina dorsale economica e sociale che aveva negli anni del boom. A raccontarlo è il rapporto dell’Ocse “Under Pressure: The Squeezed Middle Class” (2019), che fotografa una tendenza chiara: tra la metà degli anni Ottanta e i primi Duemila la classe media è scesa dal 64% al 61%.
Dietro questa lenta erosione ci sono fattori strutturali come salari stagnanti, precarietà lavorativa crescente, costi della vita in aumento e una ricchezza sempre più concentrata nelle mani della fascia più alta. In particolare, l’Ocse evidenzia come, negli ultimi trent’anni, i redditi della classe media siano cresciuti un terzo in meno rispetto a quelli del 10% più ricco della popolazione.

Lo scorso marzo l’Istat ha diffuso un report aggiornato sulle “Condizioni di vita e reddito delle famiglie”, secondo cui nel 2024 è peggiorata leggermente la situazione economica e sociale delle famiglie italiane, il 23,1% delle quali (pari a circa 13,5 milioni di persone) sono a rischio di povertà o esclusione sociale, rispetto al 22,8% dell’anno precedente.

Ma per capire chi appartenga alla classe media in Italia bisogna individuare innanzitutto il valore del cosiddetto “reddito mediano” (più significativo rispetto al reddito medio, perché esclude gli estremi: i valori più bassi e più alti, che “sporcano” il dato). Secondo il rapporto Istat il valore del reddito mediano – esclusi gli affitti figurativi – è di 30.039 euro annui (mentre quello medio è di 37.511 euro), ossia 2.310 euro al mese. Il che significa che la metà delle famiglie italiane si trova al di sotto di questa soglia, l’altra metà al di sopra.

Va poi specificato che il reddito mediano, e di conseguenza anche la forbice per rientrare nella classe media, cambia in base alla condizione del principale percettore di reddito della famiglia, quanto per le caratteristiche della stessa. Infatti, se la distinzione è fatta sulla base dell’età della persona principale fonte di reddito, la forbice per rientrare nella classe media aumenta progressivamente con il passare degli anni, fino a raggiungere l’apice tra i 55 e i 64 anni. Torna poi a abbassarsi, con il diminuire dell’età. Perciò, se il principale percettore di reddito della famiglia ha fino a 64 anni anni, apparterrà alla classe media se guadagna tra i 26.331 e 70.216 euro annui (reddito mediano di 35.108 euro), mentre se ha meno di 35 anni percepirà un reddito compreso tra i 21.001 e 56.002 euro (reddito mediano di 28.001 euro).

I criteri di appartenenza variano anche in base ai figli appartenenti a ogni nucleo familiare (una famiglia con almeno un minore avrà un reddito mediano superiore a coppie senza bambini) o dove si abita (chi abita al Nord deve guadagnare molto di più rispetto a chi è residente al Sud o nelle Isole per poter essere considerato parte della classe media).

 


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