La guerra senza restrizioni del Pcc P. 2 — Il male assoluto del comunismo

di Hui Huyu per Epoch Times USA
18 Luglio 2025 17:31 Aggiornato: 18 Luglio 2025 17:31

Già nel colpo di Stato per sovvertire la Repubblica cinese, guidata da Chiang Kai-shek tra il 1928 e il 1949, il Partito comunista cinese ha fatto ricorso a diverse forme di guerra senza restrizioni. Dopo la sconfitta nella guerra civile cinese, il governo nazionalista della Repubblica cinese si ritirò a Taiwan nel 1949, dove tuttora governa l’isola. Negli anni ’40 il Pcc ha ripetutamente costretto civili disarmati – spesso gruppi di anziani contadini – a marciare davanti alle proprie truppe come scudi umani. Questa tattica, tanto vigliacca quanto crudele, poneva le forze nazionaliste – cioè l’esercito regolare della Repubblica cinese – di fronte a dilemmi morali insostenibili. Restii a sparare sui propri concittadini, i soldati nazionalisti spesso esitavano o si rifiutavano di rispondere al fuoco, consentendo ai miliziani comunisti di guadagnare facilmente il vantaggio sul campo di battaglia.
Questi eventi drammatici sono descritti con vivida intensità in opere come “Grande fiume, grande mare. Storie inedite del 1949” della rinomata scrittrice taiwanese Lung Ying-tai e in “Le mie tre liberazioni”, un saggio personale del compianto Ma Sen, critico letterario e autore che trascorse gli ultimi anni in Canada.
Il generale nazionalista Hu Lien fu testimone di tali atrocità. In un racconto riportato dall’amico He Jiahua, pubblicato nel 1989 sulla rivista di Hong Kong Ming Pao Monthly, il generale Hu dichiarò: «All’epoca, mentre combattevo le forze comuniste sulle montagne Yimeng, vidi con i miei occhi come costringevano i civili ad avanzare, armati solo di due granate. Le nostre truppe aprirono il fuoco con le mitragliatrici, ma a cadere erano tutti civili. Naturalmente, non potemmo continuare a sparare […] preferimmo accettare la sconfitta».

Un resoconto simile arriva, nel 2005, anche dallo storico statunitense Xin Haonian, durante un ciclo di conferenze in oltre 20 città, in cui ha riportato la testimonianza di un ufficiale in pensione della regione militare di Jinan del cosiddetto Esercito Popolare di Liberazione (ossia i miliziani comunisti), il quale svelò la verità dietro la vittoria del Partito sulla 74esima Divisione d’élite dell’esercito nazionalista nella battaglia di Menglianggu. Secondo l’ufficiale, il primo assalto del Pcc alla posizione di Menglianggu, situata su una collina, fu accolto da un intenso fuoco nazionalista. Ma con sgomento dei soldati, le prime file degli assalitori erano composte da anziani civili, uomini e donne. Le truppe nazionaliste interruppero immediatamente il fuoco. Nella seconda ondata, furono i bambini a guidare la carica, e anche in quel caso i nazionalisti abbassarono le armi. Sfruttando questa esitazione, i miliziani comunisti avanzarono, ma furono respinti ugualmente. Poi arrivò la terza ondata: i combattenti in prima linea sventolavano lenzuola bianche. Proprio quando i nazionalisti si preparavano a sparare, le lenzuola furono gettate via, rivelando un gruppo di giovani donne nude. I soldati abbassarono nuovamente i fucili.

Secondo il racconto dell’ufficiale, i civili della prima ondata erano stati etichettati dal Pcc come proprietari terrieri, contadini ricchi o controrivoluzionari, considerati “nemici di classe” e quindi sacrificabili. La seconda ondata era composta da ragazzi e ragazze minorenni, figli o nipoti di questi nemici. La terza ondata includeva giovani donne, figlie o nuore delle stesse famiglie. L’intera 74esima Divisione fu distrutta. Il suo comandante, il generale Zhang Lingfu, eroe decorato della guerra contro il Giappone, secondo l’esercito nazionalista si tolse la vita lasciando una lettera. Ma il Pcc sostiene che fu ucciso dai suoi “soldati”.

Diversi scrittori di rilievo – tra cui Lung Ying-tai, Ma Sen e He Jiahua – e figure politiche come Liang Su-yung, ex presidente del Parlamento di Taiwan, hanno documentato l’uso sistematico di civili come carne da macello da parte del Partito comunista cinese. Questi resoconti dimostrano che tali tattiche non furono atti isolati di pochi comandanti spietati, ma una strategia calcolata e normalmente adottata dall’Esercito Popolare di Liberazione comunista.

Nel 1948, durante l’assedio del Pcc alla città di Changchun, nel nord-est della Cina, questa logica di sacrificare vite per la vittoria fu applicata con brutale determinazione. Per esaurire le scorte alimentari e costringere alla resa la guarnigione nazionalista, le forze comuniste circondarono completamente la città, impedendo ai civili di fuggire. Dopo cinque mesi di blocco, i difensori nazionalisti si arresero. Changchun, un tempo città fiorente, era devastata: dei 500-800 mila abitanti originari, solo 170 mila sopravvissero, come documentato nel libro di Lung Ying-tai del 2009, “Grande fiume, grande mare”.

LO SPETTRO COMUNISTA

Quanto fin qui descritto, rappresenta solo una frazione dell’applicazione della dottrina della guerra senza restrizioni tanto cara al Partito comunista cinese. Dopo aver conquistato il potere, il Partito ha elevato questa strategia bellica a principio guida, utilizzandolo per reprimere gli oppositori politici, perseguitare i cittadini cinesi e smantellare l’intero, millenario, sistema di valori morali ed etici tradizionali.

A livello internazionale, il Pcc ha impiegato la guerra senza restrizioni per diffondere la propria influenza ideologica attraverso sovversione politica, spionaggio, attacchi informatici e campagne di guerra psicologica, economica, tecnologica e biologica. Ogni attività significativa del Pcc porta il marchio della guerra senza restrizioni. Il libro “Guerra senza restrizioni” del 1999 riecheggia, quasi alla lettera, lo scopo radicale proclamato nel Manifesto del Partito comunista di Karl Marx: «I comunisti disdegnano di nascondere i loro obiettivi. Dichiarano apertamente che i loro fini possono essere raggiunti solo con il rovesciamento forzato di tutte le condizioni sociali esistenti». Questo implica che i pilastri fondamentali della società umana – morale, etica, Stato di diritto, sistemi economici e relazioni sociali sane – siano tutti considerati dal comunismo come obiettivi da eliminare. E per raggiungere questo scopo, il Partito utilizza ogni mezzo possibile, senza vincolo alcuno di legge, etica o coscienza. La guerra senza restrizioni, quindi, per la dittatura comunista cinese non è solo una mera strategia bellica: è un carattere fondamentale insito nel suo Dna ideologico: un’ostilità radicata verso l’ordine morale e civile dell’Umanità.

In questa prospettiva, il Pcc si configura come una macchina da guerra, con il suo sistema politico, l’apparato industriale e i meccanismi culturali costantemente in assetto di guerra. Dopo la Guerra Fredda, l’Occidente ha concluso prematuramente che il comunismo fosse fallito, illudendosi che la Cina comunista si stesse riformando e integrando nel sistema di mercato libero: il confronto ideologico non era più considerato centrale nella politica mondiale. E questo errore strategico ha avuto un costo elevato: ora anche il Partito comunista cinese ha iniziato ad affermare apertamente la propria forza, senza più nascondere la sua ostilità.

Da tutto questo noi dobbiamo trarre una lezione. Il Pcc non è una dittatura ordinaria: è un regime deformato e guidato dallo Spettro comunista, che scatena forze anti-religiose e anti-umane attraverso il controllo assoluto sulla società cinese.


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