Il Segretario generale del Partito comunista cinese, Xi Jinping, ha a lungo proclamato il “grande rinnovamento” della Cina, promuovendo l’era del socialismo “alla cinese”. La propaganda del Pcc sostiene che il Paese sia destinato a occupare un ruolo centrale nella governance internazionale in un mondo multipolare, attraverso l’ambiziosa Iniziativa per la Sicurezza Mondiale. Tale iniziativa, secondo Pechino, promuoverebbe principi come la risoluzione pacifica dei conflitti attraverso il dialogo e il rispetto delle differenze nazionali e culturali. Ma l’Iniziativa rappresenta in realtà uno strumento di guerra psicologica del regime cinese, mirato a equiparare il regime autoritario del Pcc alle democrazie elettive di tutto il mondo. Un approccio mirato a occultare una verità scomoda: il popolo cinese non ha alcuna voce nella gestione del proprio governo, e quello che dice il Pcc risulta sempre essere semplicemente falso.
Ci si chiede se la Cina comunista abbia mai realmente favorito degli accordi di pace, sotto l’egida dell’Iniziativa per la Sicurezza Mondiale o della più altisonante Iniziativa per la Civiltà Mondiale. La realtà è che le motivazioni di Pechino nel proporsi come mediatore in negoziati di pace sono guidate principalmente da interessi strategici, in particolare dalla competizione geopolitica ed economica con gli Stati Uniti e l’Occidente.
Il Pcc è interessato a questioni di sicurezza regionale in Asia, Medio Oriente, Africa, America Latina e nelle isole del Pacifico, con l’obiettivo di rafforzare la propria influenza economica e il prestigio diplomatico in queste aree. L’unico successo significativo attribuito alla Cina in ambito di pace è stato il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran nel marzo 2023. Tuttavia, questo risultato è stato il frutto di negoziati protrattisi per anni, con la Cina a intervenire solo nelle fasi finali, su richiesta dell’Arabia Saudita, ospitando a Pechino l’incontro in cui siglare l’accordo. Un accordo che ha favorito gli interessi del Pcc, garantendo la continuità delle forniture di petrolio iraniano alla Cina: il 90% del petrolio esportato dall’Iran è destinato alla Cina, rappresentando quasi il 14% delle importazioni petrolifere cinesi.
E nonostante i legami commerciali con l’Iran, Xi Jinping è rimasto un semplice spettatore durante il conflitto tra Israele e Iran, mentre il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha negoziato un cessate il fuoco dopo un attacco lanciato con i bombardieri B-2 contro le infrastrutture nucleari iraniane.
Un altro risultato marginale è stato il cessate il fuoco mediato dalla Cina tra l’esercito birmano e varie bande di ribelli nel nord del Myanmar a gennaio. Successi che appaiono piuttosto modesti se confrontati con le continue azioni di belligeranza e intimidazione cinesi nel Mar delle Filippine Occidentali, nelle isole Senkaku, nel Mar Cinese Meridionale e nel Mar Giallo. Azioni chiaramente finalizzate a espandere l’influenza economica e militare del regime cinese nella regione.
Questo è il vero significato della “pace alla cinese”. Mentre Xi Jinping va parlando, da oltre dieci anni, di pace, cooperazione internazionale e costruzione di un futuro condiviso, Donald Trump in soli sei mesi, ha agito concretamente per promuovere la pace a livello internazionale. A maggio, il presidente statunitense ha contribuito a scongiurare una guerra nucleare tra India e Pakistan. Il 27 giugno, alla Casa Bianca, è stato firmato un accordo di pace che ha posto fine a un conflitto decennale e cruento tra Congo e Ruanda.
E, sempre Donald Trump, ha mediato un cessate il fuoco tra Israele e Iran dopo un conflitto durato 12 giorni, ordinando un attacco mirato che ha distrutto tre impianti nucleari iraniani. Attualmente, il presidente statunitense è personalmente impegnato nei negoziati per porre fine al conflitto tra Hamas e Israele e alla guerra tra Russia e Ucraina.
Il contrasto tra i due leader non potrebbe essere più evidente. La comunità internazionale è ben consapevole della differenza tra le parole di Xi Jinping e i fatti di Donald Trump, che dimostrano praticamente il divario esistente tra la retorica cinese e i risultati concreti degli Stati Uniti.
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